IN pochi mesi l'immagine del nucleare sicuro, che decenni di battage
pubblicitario avevano presentato come un picco della nostra capacità
tecnologica di dominio sulla natura, si è mutata nel suo opposto. Il
2011 è l'anno dell'insicurezza nucleare. A marzo, assieme al disastro di
Fukushima, è andata in pezzi la credibilità di uno dei tre paesi leader
della fissione. Adesso l'allarme arriva alle porte dell'Italia, nella
Francia che ha puntato tutto sull'atomo e si trova di fronte a
difficoltà crescenti in un'Europa in cui la Germania guida il salto
verso l'energia da fonti rinnovabili.
Il bilancio dell'esplosione
nel sito nucleare di Marcoule è ancora incerto. La protezione civile si
è subito allertata per timore di una fuga radioattiva, poi smentita. Il
comunicato dell'autorità francese per la sicurezza nucleare parla di un
morto e di 4 feriti nell'incidente: si spera che la situazione non si
aggravi.
Quello che è certo è che il mito della sicurezza nucleare,
che nel 1986 aveva indotto Parigi a oscurare le notizie sulla nube
radioattiva proveniente da Cernobyl, non esiste più. L'elenco degli
incidenti registrati negli ultimi anni è un flusso preoccupante e, con
poco più di 400 reattori in funzione, ci sono stati 3 casi di fusione
del nocciolo in 32 anni (Three Mile Island nel 1979, Cernobyl nel 1986,
Fukushima nel 2011).
Questa situazione, ben diversa da quella
dipinta nelle previsioni ufficiali, spiega il cambiamento sempre più
netto dell'opinione pubblica, un cambiamento misurabile anche
osservando episodi apparentemente minori. Ad esempio l'incidente del
2008 all'impianto di Tricastin (una banale operazione di pulizia di una
vasca aveva causato la fuoriuscita di 30 mila litri di acqua radioattiva
che si era riversata nei fiumi vicini), ha indotto i viticoltori a una
battaglia legale durata due anni per cambiare denominazione al doc della
zona, invendibile finché associato a un luogo che era stato
contaminato.
Anche i mercati hanno messo il timbro sul declino
nucleare. Al di là della scivolata del titolo Edf alla notizia
dell'esplosione a Marcoule (meno 6 per cento), la percezione della
misura del rischio legato al ciclo del nucleare ha cambiato la
convenienza degli investimenti sull'atomo. La capacità elettrica del
nucleare, a livello globale, è in discesa.
E il colosso francese
del nucleare, Areva, l'anno scorso è stato declassato da Standard and
Poor's passando da A a BBB: aveva perso un buon numero di gare per la
costruzione di impianti all'estero e si era intrappolato in un
contenzioso legale da più di un miliardo di euro per i ritardi nella
costruzione del reattore di Olkiluoto, il primo di una serie annunciata
come la base del rilancio nucleare. La ciambella di salvataggio lanciata
da Berlusconi con la decisione di acquistare 4 centrali era risultata
un elemento troppo isolato per modificare il giudizio di fondo.
Ora
l'infinito inanellarsi di incidenti spinge a concentrare l'attenzione
sullo smantellamento: il governo britannico nel 2007 ha valutato in 125
miliardi di euro il costo del decommisioning del suo obsoleto parco
nucleare. Da questo punto di vista l'Italia appare fortunata perché il
suo carico di centrali da rottamare è molto ridotto. Può approfittarne
per investire le risorse disponibili verso l'energia pulita destinata a
dominare i prossimi decenni.
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