La sigla Efsf sta dominando le cronache finanziarie di questi giorni: di
cosa si tratta esattamente? L’acronimo sta per European Financial
Stability Facility, letteralmente il meccanismo europeo di stabilità
finanziaria: il G20 parigino
ha riguardato soprattutto questo programma, tanto che si è parlato di
un possibile rafforzamento, di un aumento delle dimensioni e di un
“effetto leva”. L’Efsf, meglio conosciuto come “Fondo salva-stati”, è
stato creato e istituito proprio per aiutare le economie dell’eurozona
maggiormente in difficoltà. In effetti, la sua investitura ufficiale
risale al 9 maggio del 2010, quando il Consiglio dell’Ecofin
ne ha sancito la nascita. Esso fa parte di un pacchetto globale di
salvataggio finanziario che ammonta a ben 750 miliardi di euro: il suo
ruolo prevede l’emissione di bond garantiti dalla stessa Unione Europea e
per un importo superiore a 440 miliardi, sempre e comunque in
collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale.
Ci si può fidare davvero di questo fondo, visto che si sta discutendo
un suo ulteriore miglioramento? Per il momento, tale programma sta
scongiurando altre crisi del debito e il contagio greco, ma i suoi
poteri a quanto pare non sono sufficienti e per ottenere maggiori
finanziamenti è necessaria una revisione piuttosto profonda; in realtà,
quest’ultima non è poi così semplice come potrebbe sembrare, anche
perché tutte le nazioni di Eurolandia devono essere d’accordo sulla
proposta e fornire l’approvazione, quando invece ci stiamo accorgendo
che l’Europa è tutto meno che coesa. Possibile ci si accorga solo ora
che l’Efsf non è utile nella sua attuale conformazione? I problemi
economici sono stati colpevolmente sottovalutati e continuando di questo
passo si rischiano scenari disastrosi: ad esempio, l’area dell’euro si
frazionerebbe in maniera inevitabile, con perdite evidenti per la
maggior parte delle banche e una svalutazione fortissima per quel che
riguarda le nuove valute dei paesi. Eppure, le idee e i suggerimenti
brillanti non mancano: la soluzione migliore è quella che prevede la
trasformazione del fondo in una vera e propria banca, una sorta di
compagnia assicurativa in grado di garantire gli investimenti. Inoltre,
la disponibilità più adeguata dovrebbe essere innalzata fino a novecento
miliardi di euro, da usare anche per l’acquisto di obbligazioni
periferiche. In fondo, come affermò una volta l’ex presidente francese
Jacques Chirac, la costruzione dell’Europa rimane pur sempre un’arte,
l’arte del possibile.
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