giovedì 16 febbraio 2012

RECESSIONE ITALIA/ Ecco l’alternativa alle tasse di Monti


RECESSIONE ITALIA/ Ecco l’alternativa alle tasse di Monti



ITALIA IN RECESSIONJE: CHE FARE? Siamo tecnicamente in recessione, malgrado la valanga di manovre e le conseguenti tasse che ci sono piovute sulla testa per tutto il 2011. Non c’era da aspettare i dati statistici per sapere tutto quello che già sapevamo. Per due successivi trimestri del 2011, il Pil è sceso prima dello 0,5%, poi dello 0,7%. Due trimestri in negativo significano tecnicamente recessione. È cresciuto anche il debito pubblico in valori assoluti, e ora il rapporto tra debito e Pil è intorno al 120%, con la tendenza a sfondare questo “muro”. Ci si può consolare con la cosiddetta “ripresina” del primo semestre del 2011, che ci porta a un saldo attivo annuale dello 0,4%. Ma ormai è inutile nascondersi dietro a un dito. L’attuale stato dell’economia impone delle scelte. Illudersi su una ripresa, con lo stato di depressione attuale, è un rischio che non ci si può permettere, data l’attuale governance europea. E il debito bisogna aggredirlo e ridurlo drasticamente. Il problema è quale ricetta usare: tassare di nuovo i già spremuti cittadini italiani oppure ricorrere da altre soluzioni? Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano non ha dubbi al proposito.

Professore, che cosa occorre fare in circostanze come queste?

Pensare di spremere ancora i cittadini con altre tasse sarebbe il suicidio finale. Il problema che si pone è quello che affrontano tutti i debitori con minimo di sale in zucca: vendere quello che hai di valore in casa. Che cosa altro puoi fare se le tue entrate non riescono a pareggiare le uscite? E oggi lo Stato, con questo “governo di tecnici”, può fare questa scelta.

Dove sono questi “oggetti di valore”?

C’è un patrimonio immobiliare italiano pubblico che è calcolato, con una stima approssimativa, su un valore di 300-400 miliardi di euro. Se si riuscisse a valorizzarlo e venderlo, non svenderlo come stanno facendo adesso in Grecia, significherebbe abbattere il debito pubblico almeno del 20%. Probabilmente basterebbe cominciare a vendere qualche cosa, dare un segnale e già questo sarebbe utile. Il problema è che finora non si vende nulla.

Come mai si ha solo una stima?

Perché i grandi edifici pubblici e storici non sono catastalizzati. Ma si può rimediare. Poi si possono mettere in vendita anche le grandi imprese pubbliche. Insomma, per ripagare il debito bisogna ormai ricorrere al patrimonio, non andare a ricorrere sempre al conto economico per cercare di mettere nuove tasse. Questa era un’abitudine anche di Giulio Tremonti, il quale diceva che aveva un “vestito” dove in una tasca c’era la ricchezza privata e nell’altra il debito pubblico. Oli Rehn gli rispondeva che mancava la tasca della ricchezza pubblica. È sperabile che un “governo di tecnici” arrivi a una soluzione per trovare questa terza tasca del vestito italiano.

Possiamo fare qualche esempio di grandi palazzi italiani che vengono non valorizzati, ma quasi mortificati?

Senta, io capisco che Palazzo Chigi e il Quirinale sono dei simboli e come tali devono restare, ospitando il Presidente del Consiglio e la Presidenza della Repubblica. Ma vorrei comprendere perché tanti storici e imponenti edifici pubblici devono offrire il loro spazio al lavoro di Comuni, Province, Prefetture, Comandi di vigili urbani e dei pompieri. Perché un luogo come Palazzo Marino deve essere la sede degli uffici del Comune di Milano? Oppure Palazzo Isimbardi quello della Provincia? Perché il Comando dei vigili urbani deve stare in piazza Beccaria? Sono edifici storici di grande valore che sarebbero adatti a ben altra funzione. Palazzo Marino non potrebbe essere un museo? Poi c’è Brera che non è in grado di fare vedere tutti i quadri della pinacoteca. E sto facendo esempi solo piccoli, quelli che mi vengono in mente al volo.

Come si potrebbe mettere in vendita questo patrimonio?

Valorizzandolo e poi creare un “veicolo”. Si potrebbero emettere titoli, obbligazioni che sono garantite dal valore dello stesso immobile. Capisco che non è simpatico, ma se si vuole uscire da questa situazione quale altra strada esiste? Quella di rimettersi a tassare la gente? Siamo al limite, non è più possibile. Una manovra coraggiosa e creativa un “governo dei tecnici” potrebbe permettersela.

Questa è l’unica strada possibile?

Al momento è l’unica strada realistica, altrimenti si arriva sempre alle manovre e a nuove tasse. Insomma, se si vuole abbattere il debito si deve pur vendere parte del patrimonio. Che cosa hanno fatto gli aristocratici inglesi, quando erano a corto di quattrini, con le loro grandi dimore? Ne affittavano alcune ali e così risparmiavano. Al momento, altre ricette non ne vedo.

Così l'Italia può "fare causa" alla Merkel


Come mai l’Eurogruppo rinvia gli aiuti alla Grecia e le borse salgono? Una spiegazione è che ormai danno per scontato il default ellenico. Un’altra, in realtà una variante della prima, è che il destino di Atene non appartiene più ai mercati, ma ai governi. La finanza, dunque, passa e aspetta di capire cosa farà l’Unione europea, pardon la Germania, pardon Angela Merkel, perché tutto a questo punto è nelle mani incerte della Kanzlerin.
Ha ragione Martin Wolf sul Financial Times: la Grecia è il canarino nella miniera, se muore lui allora vuol dire che il terribile grisou sta già invadendo le gallerie. Si sente dire: i greci sono inaffidabili, promettono e non mantengono, il voto di aprile getta nuove incognite. Antonis Samaras, leader di Nuova democrazia, probabile vincitore delle elezioni, minaccia di rimettere in discussione gli accordi. A questo punto, l’Ue vuole garanzie scritte: George Papandreou ha già impegnato la propria firma e anche Samaras annuncia di voler inviare una lettera di intenti a Bruxelles per smentire le sue stesse dichiarazioni verbali. Una sceneggiata che abbiamo già visto. Anche con l’Italia.
Ma il problema a questo punto è un altro: quanto è fragile la costruzione monetaria se anche un piccolo Paese il cui debito è pari al 4% del debito europeo, può provocare un così grande sconquasso? L’euro può reggere il default di uno Stato senza avere le ciambelle di salvataggio di ogni moneta che si rispetti? Il fondo è ancora in discussione, e in ogni caso le sue risorse sono ben inferiori al necessario. Tutto il peso grava sulla Bce alla quale vengono messi lacci e lacciuoli nonostante la gestione creativa di Draghi.
La questione greca, dunque, è diventata il pericoloso test di una strategia più generale. Angela Merkel ha ottenuto un risultato importante il 30 gennaio facendo passare il fiscal compact che obbliga tutti al pareggio di bilancio e a ridurre il debito fino al 60% del Pil, con un rigido percorso annuale. Per alcuni è un passo avanti verso una politica fiscale comune, una prova di unità. In realtà, questa sorta di pilota automatico affida a Berlino il pulsante europeo, ma nessuno tra i paesi dell’euro è in grado di condizionare la politica economica tedesca.
Quello che è stato presentato come un disegno di riduzione della sovranità nazionale a favore di una sovranità sopranazionale, in realtà sottrae potere decisionale a tutti tranne che alla Germania. Le nostre sorti così sono legate agli equilibri politici tedeschi, alle decisioni del Bundestag, alla Corte suprema, alla partita elettorale. Andremo tutti avanti così fino all’anno prossimo prima di capire se la Merkel verrà rimpiazzata da uno più falco di lei?
La prova di unità non sta in regole astratte e formali, ma nella volontà politica e nei valori fondamentali del progetto europeo. È scritto nei sacri testi: “L’Unione promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri”. Se ci fosse una vera Corte Costituzionale, i cittadini greci, italiani, portoghesi, spagnoli, anziché farsi chiamare “porci” farebbero ricorso contro la violazione del principio di solidarietà, senza il quale l’Unione non esiste. Per molto meno, in America, gli stati del sud crearono una confederazione e proclamarono la secessione nel 1860. Nessuno ovviamente minaccia una guerra civile, anche perché l’Europa ne ha consumate persino troppe. Ma non bisogna sottovalutare che nell’Ue di oggi come negli Usa di allora si pone una questione democratica sottostante alla questione economica e finanziaria.
Lo riconosce pienamente Mario Monti nell’articolo firmato insieme a Sylvie Foulard, deputata europea liberal-democratica, pubblicato da Le Monde e da Il Corriere della Sera. Una “disfunzione” che non riguarda solo gli stati membri, perché “la mancanza di una discussione aperta accredita anche l’impressione di un diktat degli Stati più potenti”. Altro che impressione. Bisogna mettere la questione democratica al centro del dibattito europeo accanto alla querelle sui tagli, le tasse, gli spread. Come vent’anni fa, quando si discusse di Maastricht. Allora, tutti sapevano che regolette tipo il deficit al 3% o il debito al 60% del Pil non avevano nessun valore scientifico, erano lampade per orientarsi nel buio di un percorso nuovo. Simili alle lampade dei minatori per riallacciarci alla metafora di Wolf. Quel che contava era la volontà politica di unire l’Europa mentre crollava l’Unione sovietica e la Germania riunificava se stessa con tutte le incognite e i fantasmi che ciò evocava.
Adesso siamo a un altro passaggio storico. E purtroppo la Merkel e Sarkozy non sono Kohl e Mitterrand. Riuscirà Monti a essere l’Andreotti che seppe mediare tra loro? Perché Maastricht porta anche il sigillo di questa Italia un po’ arruffona e un po’ machiavellica, ma della quale la fredda, cartesiana Francia e la Germania Sturm und Drang non possono fa a meno.

Amianto, un’altra Casale nell’Oltrepo pavese. A Broni 700 morti. E ancora nessun colpevole

Il processo per le morti causate dalla cementifera Fibronit sta per iniziare. Eppure per vent'anni le patologie tumorali frequenti non hanno fatto scattare una reazione di cittadini e amministrazione. “Ci dicevano che alzando la voce avremmo rovinato l'economia del vino”. Le telecamere de ilfattoquotidiano.it sono entrate nella fabbrica delle polveri killer. Dove non ci sono ancora i soldi per la bonifica

 “Il male della cementifera”. Era così che la gente di Broni, fino agli anni ’90, definiva la rara forma di tumore ai polmoni che colpiva con preoccupante frequenza i suoi abitanti. La patologia era sempre quella: mesotelioma pleurico. E le vittime si moltiplicavano. Le stime più prudenti parlano di almeno 700 morti accertati fino a oggi. Tutti, in paese, sapevano che il tumore dipendeva dalle polveri fuoriuscite da quella fabbrica, la cementifera Fibronit. Morivano gli operai. Morivano le loro mogli che lavavano le tute impregnate di quella sostanza. Morivano (e continuano a morire, perché il mesotelioma ha una latenza che può arrivare a 40 anni) le persone che vivevano attorno a quell’insediamento industriale – costruito proprio nel cuore del paese – che fra il 1919 e il 1994 ha dato lavoro a 3.798 persone. Ma le denunce non arrivavano. Le associazioni delle vittime non nascevano. Le amministrazioni comunali tacevano. Fino a dieci anni fa, a Broni non c’era nemmeno un riconoscimento ufficiale dei danni ambientali provocati dalla lavorazione dell’amianto.

La storia di Broni è molto simile a quella di Casale Monferrato, dove operava la Eternit (lunedì scorso il tribunale di Torino ha condannato a 16 anni i due ex proprietari). Eppure nell’Oltrepo la reazione, per anni, non è arrivata. A differenza della città piemontese, qui non ci sono mai state – e non ci sono tuttora – bandiere tricolori alle finestre con la scritta “giustizia”. Qui le prime denunce sono arrivate nello scorso decennio. Il processo non ha ancora preso il via, l’udienza preliminare è prevista nelle prossime settimane. Le due associazioni dei parenti delle vittime esistono da meno di 5 anni. E prima? “Broni per un lungo periodo ha rimosso questo problema. A differenza di Casale, c’è stata grande difficoltà ad ammettere che il paese avesse un problema così”, spiega Gianluigi Vecchi, coordinatore provinciale di Legambiente Pavia.


 “Ci dicevano che alzando la voce avremmo rovinato l’economia del vino, ci accusavano addirittura di provocare il crollo del mercato immobiliare”, dice Costanza Pace, bronese e membro dell’Associazione esposti amianto: “Solo raccogliendo prove delle piogge acide, mostrando gli effetti dello sfaldamento dei tetti e infine istituendo il registro dei mesoteliomi, siamo riusciti a diventare sito di interesse nazionale”. Ancora più arrabbiato Silvio Mingrino, fondatore di Avani, l’altra associazione delle vittime: “Ho perso mio padre nel ’99 e mia madre mi spiegò che la causa era ‘il male della cementifera’. Poi, nove anni dopo, morì anche lei: mesotelioma pleurico. Quel giorno capii che non potevo più fare finta di niente. Chi doveva tutelarci non l’aveva fatto, dovevamo pensarci da soli”. Mingrino sostiene che le 700 vittime di cui parla Legambiente siano frutto di una stima per difetto. A noi risulta che dal 1978 ad oggi siano decedute per patologie legate all’esposizione all’amianto 1.300 persone”.

L’amianto ha fatto parte della vita di Broni, ne è stato protagonista per più di cinquant’anni: “Qui molto spesso agli operai venivano date le lastre difettose da usare nelle campagne o il polverino residuo per fare il cemento dei vialetti negli orti”, spiega Mario Fugazza, assessore all’Ambiente, che ha fatto un censimento della presenza di lastre di amianto nel Comune: “Le coperture di amianto, dal capannone al ricovero attrezzi, hanno una superficie complessiva di circa 150mila metri quadrati, di cui circa mille sono pubblici”. Le associazioni ora avanzano richieste all’amministrazione: “Deve arrivare una bonifica di tutti i manufatti”, aggiunge Costanza Pace. “A Broni anche chi non lavorava in fabbrica veniva colpito da questo killer silenzioso che usciva dalla fabbrica ed entrava silente nelle nostre abitazioni. E quasi tutti a Broni hanno avuto un morto per malattie causate da queste polveri”.

Già, la bonifica. I tempi sono lunghissimi. Oggi è in corso la messa in sicurezza (che arriva a 18 anni dalla chiusura della fabbrica), per la quale sono stati stanziati circa 5 milioni di euro. Ma fare recinzioni e tappare con dei pannelli le aperture nelle pareti non significa bonificare. Per questa seconda fase non ci sono ancora i soldi. Stesso discorso per lo smaltimento di tutte le lastre rimosse. “Non ci sono ancora i 15 milioni per la bonifica e 10 per lo smaltimento. Dopo la sentenza di Casale questo è inaccettabile”, spiega Gianluigi Vecchi. E l’assessore aggiunge: “Avendo a disposizione una somma non sufficiente per procedere con la bonifica, abbiamo iniziato l’intervento dai capannoni in cui avvenivano le lavorazioni”.

Tra poche settimane a Voghera inizierà il processo, a due anni dall’avviso di chiusura indagini. Dieci gli indagati, tutti ex dirigenti Fibronit. Il pm Giovanni Benelli ha modificato il capo d’accusa da disastro colposo a disastro doloso. Lo stesso reato per cui sono stati condannati, pochi giorni fa, gli ex proprietari di Eternit. “Omettevano volontariamente di adottare gli accorgimenti e i presidi organizzativi”, si legge nell’avviso firmato da Benelli. Non solo: “Omettevano di adottare idonei sistemi per evitare il propagarsi delle polveri”. Le carte giudiziarie, due anni fa, individuavano oltre 570 morti sospette. E dal 2010 a oggi sono morte altre cento persone. L’azienda è fallita, non c’è più traccia della proprietà. Scarse le possibilità di ottenere risarcimenti importanti per i soggetti coinvolti. “Ma il nostro obiettivo –  dice Mingrino – non sono i soldi. E’ importante che a Broni si scaccino i fantasmi. E quello che è accaduto deve essere scritto, nero su bianco, dalla giustizia. Grazie alla sentenza di Torino, ora anche la legge ammette che l’amianto uccide”.

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Monti: “Presenteremo un emendamento per ridurre le esenzioni Imu alla Chiesa”

Il premier italiano annuncia al presidente della Commissione Ue, Almunia: "Abrogheremo le norme che riguardano la franchigia per gli edifici dove l'attività commerciale non è esclusiva, ma solo prevalente. Presto porteremo in Parlamento la proposta". La Cei: "Speriamo si tenga in considerazione il valore del no profit"

 Privilegi fiscali agli enti cattolici: qualcosa si muove. Nei piani dell’esecutivo italiano, infatti, c’è un emendamento al decreto liberalizzazioni che chiarisca una volta per tutte la questione riguardante l’esenzione dall’Imu riservata a tutti gli enti non commerciali e, quindi, anche alla Chiesa. E’ quanto verrà presentato a breve in Parlamento a detta del Presidente del consiglio Mario Monti. Lo ha riferito lo stesso premier al vice presidente della Commissione Ue, Joaquin Almunia. “L’esenzione dall’Imu per la Chiesa fa riferimento solo agli immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale – ha detto il presidente del Consiglio italiano – L’emendamento annunciato abrogherà norme che prevedono l’esenzione a immobili dove l’attività commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente”.

L’intervento comporterà l’esenzione Imu per la sola frazione di unità nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale. Insomma: se, ad esempio, un istituto religioso ha al suo interno una serie di camere utilizzate per motivi commerciali (b&b, ostello, ecc), queste ultime non saranno esenti dalla tassazione.

Oltre a questo criterio, l’emendamento annunciato da Mario Monti, comporterà anche l’abrogazione di norme che prevedono l’esenzione per immobili dove l’attività non commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente e l’introduzione di un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal ministro del Tesoro circa l’individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all’interno di uno stesso immobile. La speranza del premier, come si legge in una nota di Palazzo Chigi, è che l’iniziativa del governo spinga la Commissione europea a chiudere la procedura aperta nell’ottobre 2010.

Il portavoce della Cei, monsignor Domenico Pompili, ha commentato al riguardo: ”Attendiamo di conoscere l’esatta formulazione del testo, così da poter esprimere un giudizio circostanziato”.  ”Come dichiarato più volte – ha continuato il portavoce – anche di recente, dal Presidente della Cei, Cardinal Angelo Bagnasco, ogni intervento volto a introdurre chiarimenti alle formule vigenti sarà accolto con la massima attenzione e senso di responsabilità”. “L’auspicio – ha concluso monsignor Pompili – è che sia riconosciuto e tenuto nel debito conto il valore sociale del vasto mondo del no profit”.

E non si è fatta attendere la risposta di Joaquin Almunia, il quale – in una dichiarazione ufficiale dell’ufficio della vicepresidenza europea – ha fatto sapere che “quando l’emendamento sarà approvato dal Parlamento, la Commissione lo valuterà e prenderà una decisione”. Una posizione d’attesa, quindi, che comunque conferma la buona predisposizione della Commissione nei confronti dell’esecutivo Monti. La notizia dell’emendamento sulla stretta all’esenzione Imu, del resto, è stata accolta come “un buon progresso”.

I più “sorpresi” dalle dichiarazioni di Monti sembrerebbero essere i comuni italiani che, da quanto trapela dall’Anci, non sono stati consultati dal premier nonostante la riforma coinvolga direttamente anche gli enti territoriali, in quanto imposta comunale. Per questo si prevede che già domani, nel corso dell’ufficio di presidenza convocato a Roma, possano esserci delle reazioni all’emendamento annunciato dal governo.

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martedì 14 febbraio 2012

Afghanistan, Nato ammette uccisione 8 bambini in raid aereo

Il generale Carsten Jacobson, portavoce della Nato in Afghanistan, ha implicitamente ammesso la responsabilità delle forze Isaf nell’ennesima strage di bambini causata da un bombardamento aereo.

 Otto bambini, di età compresa tra i 6 e i 14 anni, sono rimasti uccisi la sera di mercoledì 8 febbraio in un raid aereo della Nato richiesto da truppe francesi nel corso di uno scontro a fuoco con i talebani nel distretto di Najrab, nella provincia di Kapisa.

Fonti locali hanno riferito che i bambini stavano facendo pascolare un gregge di pecore nei pressi del loro villaggio di Giawa. Per riscaldassi dal freddo e dalla neve avevano appena acceso un fuoco, quando sono arrivati i caccia Nato, che li hanno bombardati in due passaggi ripetuti.

"Non possiamo negare un legame diretto con la nostra operazione. Ogni morte di innocenti che non hanno a che fare con il conflitto armato è una tragedia", ha dichiarato Jacobson. Condanna e cordoglio sono stati espressi dal presidente afgano Hamid Karzai e dal Parlamento di Kabul.

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Morti per amianto, 16 anni ai padroni di Eternit. I familiari: “Finalmente giustizia”

Chiuso il processo di primo grado per 2.191 persone uccise dalle fibre killer. I due imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e il barone belga Louis de Cartier, 90 anni, colpevoli di disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche. 30mila euro di risarcimento per ogni vittima

 Jean Louis de CartierStephan Schmidheiny, proprietari della Eternit, sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. La condanna, pronunciata dal presidente Casalbore, si riferisce ai reati commessi a Cavagnolo e Casale Monferrato. Prescritte invece le condotte relative agli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Lunghissimo l’elenco del risarcimento danni e delle provvisionali per le parti civili: tra questi 4 milioni al Comune di Cavagnolo e 25 milioni per il Comune di Casale, 100 mila euro a Cgil nazionale, Associazione familiari e vittime dell’amianto e Legambiente onlus. Settantacinquemila a Wwf Italia. Undici milioni a Inail. E poi risarcimenti per cifre dai 30 ai 35 mila euro per gli eredi delle vittime.

La sentenza riguarda la morte per amianto di 2.191 persone ed è stata accolta in aula da lacrime liberatorie. Hanno pianto, stringendosi l’uno a l’altro, i parenti delle vittime italiane, ma anche gli esponenti delle delegazioni straniere.

Era visibilmente commossa Fernanda Giannasi, leader del movimento brasiliano: “Dobbiamo mantenere vivo questo movimento, non deve accadere quel che accaduto in Brasile, dove nel 2004 abbiamo vinto in primo grado un processo contro Eternit per 2500 vittime, ma non siamo stati sufficientemente organizzati e abbiamo perso in secondo grado”. C’è soddisfazione in aula, le attese non sono state deluse. I tremila morti italiani non sono morti di cause scientificamente non provate, né per la loro imperizia. C’era chi sapeva e ha fatto finta di niente, anteponendo il proprio profitto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.





Morti per amianto, 16 anni ai padroni di Eternit. I familiari: “Finalmente giustizia”
Chiuso il processo di primo grado per 2.191 persone uccise dalle fibre killer. I due imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e il barone belga Louis de Cartier, 90 anni, colpevoli di disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche. 30mila euro di risarcimento per ogni vittima
Jean Louis de CartierStephan Schmidheiny, proprietari della Eternit, sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. La condanna, pronunciata dal presidente Casalbore, si riferisce ai reati commessi a Cavagnolo e Casale Monferrato. Prescritte invece le condotte relative agli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Lunghissimo l’elenco del risarcimento danni e delle provvisionali per le parti civili: tra questi 4 milioni al Comune di Cavagnolo e 25 milioni per il Comune di Casale, 100 mila euro a Cgil nazionale, Associazione familiari e vittime dell’amianto e Legambiente onlus. Settantacinquemila a Wwf Italia. Undici milioni a Inail. E poi risarcimenti per cifre dai 30 ai 35 mila euro per gli eredi delle vittime.

La sentenza riguarda la morte per amianto di 2.191 persone ed è stata accolta in aula da lacrime liberatorie. Hanno pianto, stringendosi l’uno a l’altro, i parenti delle vittime italiane, ma anche gli esponenti delle delegazioni straniere.

Era visibilmente commossa Fernanda Giannasi, leader del movimento brasiliano: “Dobbiamo mantenere vivo questo movimento, non deve accadere quel che accaduto in Brasile, dove nel 2004 abbiamo vinto in primo grado un processo contro Eternit per 2500 vittime, ma non siamo stati sufficientemente organizzati e abbiamo perso in secondo grado”. C’è soddisfazione in aula, le attese non sono state deluse. I tremila morti italiani non sono morti di cause scientificamente non provate, né per la loro imperizia. C’era chi sapeva e ha fatto finta di niente, anteponendo il proprio profitto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.



Bruno Pesce, presidente di Vertenza amianto, è riconoscente per il “lavoro eccezionale della Procura. È una pena giusta, severa. Credo che il tribunale abbia agito con molto rigore – ha detto – in modo esemplare. Questo dovrebbe fare riflettere tutti i datori di lavoro in merito alla tutela della salute e della sicurezza”. Soddisfatti ovviamente anche i pm e lo staff che ha condotto il lungo lavoro che ha reso possibile il maxiprocesso. Per tutti questa sentenza non è che l’inizio di un lungo percorso. “Ho inziato ad occuparmi di sicurezza sul lavoro dagli anni Settanta, ma da allora tanto è cambiato. Basta guardare quest’aula – da dichiarato il pm Raffaele Guariniello – abbiamo un grande compito, dare una risposta a questa sete di giustizia che arriva dalla popolazione. Dobbiamo entrare nelle stanze dei consigli di amministrazione perché è lì che si decidono le politiche aziendali e quanto si spende per la sicurezza”.

Romana Blasotti, presidente dell’associazione vittime dell’amianto di Casale, è ancora più convinta che sia necessario andare avanti: “Noi vogliamo lottare per la bonifica e per la ricerca. La lotta non finisce qui”. Il mesotelioma pleurico, il tumore provocato dalle fibre d’amianto, le ha portato via il marito, la figlia, una sorella, una cugina e un nipote. E nonostante questo, Romana Blasotti ha trovato la forza di diventare un simbolo della battaglia di Casale Monferrato. Il pool di avvocati svizzeri, coinvolti nella difesa delle parti civili, porta a casa un risultato che spera costituisca un precedente in tutto il mondo.

Unica nota dolente sembra quella dei risarcimenti, più simbolici che sostanziali. Ma questo è un aspetto di cui ci si occuperà in sede civile. Qualche preoccupazione deriva invece dalla concreta possibilità di recupero delle somme stabilite, dato che gli imputati sono stranieri. “Avevamo chiesto di più, hanno riconosciuto la provvisionale, un acconto, comunque non costuisce un problema. Non è speculativo lo spirito di questo processo – spiega l’avvocato di parte civile Rubino –. Insieme agli imputati hanno condannato anche i loro responsabili civili, che sono società con capacità patrimoniali e quindi in grado di onorare i debiti. Questo potrebbe aiutarci visto che bisognerà fare le esecuzioni all’estero e non sarà semplicissimo, per quanto esistano gli strumenti giuridici necessari”.

Di fronte ai giornalisti, l’avvocato Sergio Bonetto cerca però di riportare l’attenzione al vero merito di questo dibattimento: “Spero che si eviti di farlo diventare il processo dei miliardi, e che resti invece il processo del riconoscimento della responsabilità”. Diventa sempre più verosimile l’ipotesi di un processo Eternit-bis, su cui la Procura sta già lavorando e che potrebbe avere come capo di imputazione l’omicidio colposo o doloso. Oggi a Torino si è scritta una pagina di storia. Un passo in avanti è stato fatto per la tutela dei lavoratori in Italia e nel resto del mondo, anche se molto resta ancora da fare”.

Come le associazioni delle vittime, anche gli avvocati hanno deciso di creare una “multinazionale” della giustizia, che faccia da contraltare al cinismo industriale. “Abbiamo creato un’associazione di avvocati, si chiama Interforum Ong. Abbiamo deciso di rendere permanente il lavoro iniziato con il processo Eternit per estenderlo a tutti gli altri processi che riguardano crimini industriali – spiega l’avvocato Bonetto –. Il prossimo 25 febbraio sarà con noi a Parigi per una conferenza stampa, organizzata con i magistrati francesi, per parlare dei processi Eternit e Thyssen. La collaborazione con gli avvocati straniera è fondamentale e lo è stato anche per giungere a questa sentenza: senza i documenti forniti dai colleghi sarebbero mancati pezzi interi dell’inchiesta”.

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venerdì 10 febbraio 2012

Barack Obama a Mario Monti: “Tra Stati Uniti e Italia relazione mai così forte”

Il presidente degli Stati Uniti ha incontrato il premier italiano e ricordato il grande impegno del nostro paese nel sostenere la missione Nato in Afghanistan e sottolinea come con il nuovo governo "l'Italia stia adottando passi impressionanti per modernizzare la sua economia e ridurre il proprio deficit"

 Gli States credono in ‘Super Mario‘. Sentire per credere: ‘La relazione tra Italia e Stati Uniti non è mai stata così forte”. Non ha usato mezzi termini il presidente degli States Barack Obama per descrivere l’attuale rapporto con il nostro Paese. E lo ha fatto in un momento dal peso specifico non di poco conto: subito dopo la fine dell’incontro con il presidente del Consiglio Mario Monti, a testimonianza della stima reciproca tra i due. ”Ho piena fiducia nella leadership di Monti e spero possa traghettare l’Italia attraverso questi tempi difficili” ha detto Obama, confermando la sua fiducia sul futuro economico dell’alleato e anche dell’Europa, tanto che – parola del presidente – “gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per contribuire a stabilizzare l’euro”. Di fronte a cotanto attestato di stima, il premier italiano ha risposto con dichiarazioni al miele, sottolineando che “l’incoraggiamento del presidente Obama aiuta “il mio governo a continuare sulla strada delle riforme strutturali”.

Obama, poi, ha ringraziato l’Italia per la partecipazione alle sanzioni nei confronti dell’Iran, ha ricordato che “non potremmo aver avuto successo” nell’operazione in Libia “senza il contributo dell’Italia” e si è complimentato con Monti per la “partenza a razzo” del suo governo tecnico. Da par sua, invece, il capo del governo ha ribadito che ”c’è la volontà dell’Italia di continuare a giocare il suo ruolo in una alleanza strategica e di valori comuni che condividiamo e difendiamo”. Sulle questioni economiche, invece, Mario Monti ha detto che “sapere che sia gli Usa sia l’Europa sono orientati” a dare maggiore attenzione alla crescita è “importante e dà più peso alla voce dell’Italia in Europa, perché basata sul riconoscimento degli sforzi fatti dall’Italia verso il risanamento”. E in tal senso, il premier ha sottolineato come con Obama c’è intesa sul fatto “che l’Europa debba andare avanti con la strategia per consolidare bilanci” ma anche che “la crescita è un imperativo”. Monti, infine, non ha nascosto che l’appoggio di Obama al suo operato è un’arma in più per uscire dalla crisi: “Oggi il mondo e i mercati vivono di una merce rara che è la credibilità – ha detto Monti – e il sostegno del presidente Usa Obama agli sforzi che l’Italia sta facendo è già di per sè un aiuto concreto”. Bilancio dell’incontro estremamente positivo, quindi, come confermato dall’accoglienza a suon di applausi riservata a Monti e al ministro degli Esteri Giulio Terzi dal personale dell’Ambasciata italiana al ritorno dall’incontro con il presidente degli Stati Uniti d’America.

Barack Obama, che prima di ricevere in visita ufficiale il presidente del Consiglio, ha anticipato, in un’intervista a La Stampa, la sua approvazione all’operato del nuovo governo italiano ribadendo come l’Italia resti un paese cruciale per far uscire dalla crisi l’Europa: ”Sotto la leadership del primo ministro Monti – dichiara il presidente degli Stati Uniti – l’Italia sta adottando passi impressionanti per modernizzare la sua economia, ridurre il proprio deficit attraverso una combinazione di misure su entrate e spese e riposizionando la nazione sul cammino verso la crescita”.

Sul piano economico, Obama condivide la linea del premier italiano: “Sono d’accordo con quanto il primo ministro Monti ha detto. Se l’Europa mette in atto firewall sufficientemente grandi, si riduce la possibilità di doverli usare. Al primo ministro ho intenzione di riferire il il messaggio che ho portato ai miei partner europei in precedenza – spiega Obama – nel caso più recente a Cannes durante il summit del G20: gli Stati Uniti continueranno a fare la loro parte per sostenere gli amici europei nel loro impegno per risolvere la crisi. Voglio solo aggiungere che si tratta di qualcosa che va oltre l’economia. Americani ed europei hanno un profondo legame di amicizia”.

E in tema di politica internazionale il Presidente Usa aggiunge: “L’Italia è uno dei nostri più importanti alleati. Ha avuto un ruolo cruciale e centrale nella forza di assistenza e sicurezza internazionale della Nato in Afghanistan. Siamo grati del sostegno del popolo italiano a questa missione vitale”. A maggio, a Chicago si terrà il summit della Nato e per Obama “sarà un’opportunità per delineare la prossima fase della transizione in Afghanistan. La partnership strategica di lungo termine che l’Italia ha recentemente firmato con l’Afghanistan è un’affermazione forte e benvenuta sull’estensione dell’impegno dell’Italia oltre il 2014″. Quanto all’interesse degli Stati Uniti verso la crisi dell’Eurozona, l’inquilino della Casa Bianca sottolinea che “le nostre fortune economiche sono intrinsecamente legate e le relazioni con l’Europa sono una parte importante dei nostri sforzi per creare posti di lavoro e prosperità negli Stati Uniti”.

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Truffa aggravata per quel volo di Stato “Artifici e i raggiri” dell’ex ministro Calderoli

Secondo i pm di Roma il 19 gennaio 2011, il senatore leghista ha usufruito di un velivolo della Repubblica italiana per motivi personali: andare in ospedale a trovare il figlio della compagna. La giunta ha però respinto l'autorizzazione a procedre. Un no sul quale dovrà esprimersi palazzo Madama

“Artifici e raggiri” per andare e tornare in giornata da Roma a Cuneo su un aereo di Stato. I pm della Procura di Roma e il Tribunale dei ministri non hanno dubbi: il 19 gennaio 2011, l’allora ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, ha usufruito di un velivolo della Repubblica italiana per motivi del tutto personali: doveva andare in ospedale a trovare il figlio della compagna, ricoverato dopo un incidente stradale. Non solo. Al fine di ottenere l’autorizzazione dalla Presidenza del Consiglio (i ministri non possono usufruire di voli di Stato se non tramite “richiesta altamente motivata”) ha ingannato i funzionari e, di conseguenza, il sottosegretario Gianni Letta. Come? Con “artifici e raggiri”, visto che per motivare la richiesta ha parlato di imprecisati impegni istituzionali. Per questo motivo, l’esponente leghista è indagato con l’accusa di truffa aggravata dai pm capitolini, i quali a fine dicembre hanno inviato una richiesta di autorizzazione a procedere al Tribunale dei ministri.

Che si è mosso in proprio: ha ricevuto una memoria difensiva dall’accusato, ha fatto indagini e alla fine ha dato ragione alla tesi dei pm. Iter d’obbligo: il faldone sull’autorizzazione a procedere è passato alla competente Giunta del Senato. Quest’ultima si è riunita il due febbraio scorso per esaminare la ‘pratica-Calderoli’ e, a maggioranza, ha deciso di respingere la richiesta dei pm e di condividere le motivazioni fornite dall’ex componente del governo Berlusconi. Insomma, gli hanno creduto. Per i componenti della Giunta, infatti, il volo Roma-Cuneo (e ritorno) era motivato da “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”, ovvero quanto dichiarato dallo stesso Calderoli pur di ricevere l’autorizzazione.

La richiesta della Procura ora passerà all’aula di Palazzo Madama, che dovrà esprimersi sulla proposta di negare l’autorizzazione a procedere ratificata dalla Giunta. Intanto la questione resta aperta e fa discutere. Non solo per le implicazioni di carattere penale (secondo gli inquirenti il danno per le casse dello Stato ammonta a poco più di diecimila euro), ma anche e soprattutto per il comportamento tenuto da Roberto Calderoli durante tutta la vicenda. Un comportamento ricostruito con dovizia di particolari dagli inquirenti e contenuto nella richiesta di autorizzazione a procedere che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare.

Tutto ha origine da un esposto presentato il 4 aprile 2011 alla Procura della Repubblica di Cuneo da Fabio Biolè, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che aveva avuto notizia dell’uso improprio del volo di Stato da parte di Calderoli. La denuncia è stata trasmessa per competenza alla Procura di Saluzzo, che a sua volta l’ha girata a quella di Roma per poi finire al Tribunale dei ministri. Che a questo punto ha deciso di indagare, avvalendosi della collaborazione di due agenti di polizia.

Secondo la ricostruzione dei fatti, il 19 gennaio 2011 Calderoli “disceso dall’aereo di Stato atterrato all’aeroporto di Levaldigi, dapprima si è recato a Cuneo, in via […] dove si è incontrato con la signora Gianna Gancia (compagna di Calderoli e presidente della Provincia di Cuneo, ndr). Quindi il Calderoli e la signora Gancia sono entrati in un’abitazione privata, all’interno di un immobile sul cui citofono non sono presenti denominazioni di uffici pubblici. I medesimi, usciti insieme dopo circa un’ora dalla predetta abitazione, si sono recati in ospedale”. “Dopo circa un’ora” Calderoli è uscito per recarsi “nuovamente in aeroporto, dove è salito sullo stesso aereo con il quale era precedentemente atterrato”.

Da questa cronologia della visita ‘istituzionale’, i magistrati traggono una tesi ben precisa: “I predetti elementi di fatto, complessivamente valutati, non integrano esigenze connesse alle funzioni istituzionali del ministro Calderoli, ma evidenziano invece finalità strettamente legate alla vita privata del medesimo”, anche perché “non può attribuirsi rilievo al fatto che il Ministro Calderoli, come affermato nella propria memoria, avesse impegni istituzionali il giorno precedente e nel pomeriggio dello stesso 19 gennaio 2011 (impegni comunque esclusi dalla relazione dell’ispettore capo)”. E sì, perché l’ex ministro della Semplificazione nella sua tesi difensiva aveva cercato di rispedire al mittente le accuse: in un primo momento Calderoli aveva giustificato la necessità del volo di Stato con l’urgenza di far visita in ospedale al figlio della compagna (ricoverato in prognosi riservata per un incidente stradale). Successivamente, però, l’esponente leghista ha modificato versione: era volato a Cuneo su un velivolo della Repubblica perché si è dovuto occupare della situazione finanziaria della Provincia guidata dalla sua compagna e che la sua visita in ospedale era solo una ‘deviazione’ sul programma di lavoro, che prevedeva impegni istituzionali prima e dopo la capatina in ospedale.

A questo punto, a chi gli faceva notare che durante la ‘missione’ non si era recato in nessun ufficio pubblico, Calderoli ha spiegato che le sue funzione politiche le aveva esercitate in un’abitazione privata, giustificando l’utilizzo dell’aereo di Stato perché doveva far rientro immediatamente a Roma per partecipare ai lavori della Commissione sul federalismo. Per gli inquirenti, però, non c’era nessun impegno istituzionale né alcuna riunione di organismi parlamentari. E a chi gli chiedeva perché non avesse raggiunto Torino per prendere un volo di linea e fare rientro a Roma senza gravare sulle casse dello Stato, Calderoli si è giustificato dicendo che da Cuneo al capoluogo piemontese non c’è autostrada e che quindi sarebbe stato problematico salire su un volo per comuni mortali.

Tutte spiegazioni che il Tribunale dei ministri non ha accolto, a differenza di quanto fatto dai membri della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato. Per i pm, infatti, l’ex ministro ha gabbato i funzionari della Presidenza del Consiglio, giustificando la sua richiesta con “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”. E’ proprio questa frase a mettere nei guai Calderoli. “Tale affermazione – hanno scritto i pm – volta ad indurre in errore i funzionari competenti in ordine alla sussistenza dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione all’uso dell’aereo di Stato, era altresì idonea ad orientare la conseguente determinazione”. E infatti i dipendenti della Presidenza del Consiglio hanno creduto alla motivazione della richiesta e “nella certezza della veridicità dell’affermazione, in quanto proveniente da fonte qualificata riconducibile al Ministro (il suo capo di gabinetto, ndr), non hanno richiesto chiarimenti ed hanno concesso l’autorizzazione”. Da qui il capo d’imputazione: truffa aggravata nei confronti dei funzionari statali “perché sussistono gli estremi degli artifici e raggiri idonei ad indurre in errore”. Non sussistono, invece, le accuse di peculato e abuso d’ufficio perché Calderoli, in quanto componente del governo, non aveva diritto al volo di Stato, destinato solo agli spostamenti del presidente della Repubblica, del Consiglio, di Camera e Senato. Anche dei ministri, in realtà, ma solo in presenza di “richiesta altamente motivata”. E non è il caso di Calderoli. Tutto chiaro, tutto documentato. Per molti, tranne che per la maggioranza della Giunta per le autorizzazioni a procedere.

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