Secondo i pm di Roma il 19 gennaio 2011, il senatore leghista ha
usufruito di un velivolo della Repubblica italiana per motivi personali:
andare in ospedale a trovare il figlio della compagna. La giunta ha
però respinto l'autorizzazione a procedre. Un no sul quale dovrà
esprimersi palazzo Madama
“Artifici e raggiri” per andare e tornare in giornata da Roma a Cuneo su
un aereo di Stato. I pm della Procura di Roma e il Tribunale dei
ministri non hanno dubbi: il 19 gennaio 2011, l’allora ministro per la
Semplificazione, Roberto Calderoli, ha usufruito di un
velivolo della Repubblica italiana per motivi del tutto personali:
doveva andare in ospedale a trovare il figlio della compagna, ricoverato
dopo un incidente stradale. Non solo. Al fine di ottenere
l’autorizzazione dalla Presidenza del Consiglio (i ministri non possono
usufruire di voli di Stato se non tramite “richiesta altamente
motivata”) ha ingannato i funzionari e, di conseguenza, il
sottosegretario Gianni Letta. Come? Con “artifici e
raggiri”, visto che per motivare la richiesta ha parlato di imprecisati
impegni istituzionali. Per questo motivo, l’esponente leghista è
indagato con l’accusa di truffa aggravata dai pm capitolini, i quali a
fine dicembre hanno inviato una richiesta di autorizzazione a procedere
al Tribunale dei ministri.
Che si è mosso in proprio: ha ricevuto una memoria difensiva
dall’accusato, ha fatto indagini e alla fine ha dato ragione alla tesi
dei pm. Iter d’obbligo: il faldone sull’autorizzazione a procedere è
passato alla competente Giunta del Senato. Quest’ultima
si è riunita il due febbraio scorso per esaminare la
‘pratica-Calderoli’ e, a maggioranza, ha deciso di respingere la
richiesta dei pm e di condividere le motivazioni fornite dall’ex
componente del governo Berlusconi. Insomma, gli hanno creduto. Per i
componenti della Giunta, infatti, il volo Roma-Cuneo (e ritorno) era
motivato da “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento
connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”, ovvero quanto
dichiarato dallo stesso Calderoli pur di ricevere l’autorizzazione.
La richiesta della Procura ora passerà all’aula di Palazzo Madama,
che dovrà esprimersi sulla proposta di negare l’autorizzazione a
procedere ratificata dalla Giunta. Intanto la questione resta aperta e
fa discutere. Non solo per le implicazioni di carattere penale (secondo
gli inquirenti il danno per le casse dello Stato ammonta a poco più di
diecimila euro), ma anche e soprattutto per il comportamento tenuto da
Roberto Calderoli durante tutta la vicenda. Un comportamento ricostruito
con dovizia di particolari dagli inquirenti e contenuto nella richiesta
di autorizzazione a procedere che ilfattoquotidiano.it ha potuto
consultare.
Tutto ha origine da un esposto presentato il 4 aprile 2011 alla Procura della Repubblica di Cuneo da Fabio Biolè,
consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che aveva avuto notizia
dell’uso improprio del volo di Stato da parte di Calderoli. La denuncia è
stata trasmessa per competenza alla Procura di Saluzzo, che a sua volta
l’ha girata a quella di Roma per poi finire al Tribunale dei ministri.
Che a questo punto ha deciso di indagare, avvalendosi della
collaborazione di due agenti di polizia.
Secondo la ricostruzione dei fatti, il 19 gennaio 2011 Calderoli
“disceso dall’aereo di Stato atterrato all’aeroporto di Levaldigi,
dapprima si è recato a Cuneo, in via […] dove si è incontrato con la
signora Gianna Gancia (compagna di Calderoli e
presidente della Provincia di Cuneo, ndr). Quindi il Calderoli e la
signora Gancia sono entrati in un’abitazione privata, all’interno di un
immobile sul cui citofono non sono presenti denominazioni di uffici
pubblici. I medesimi, usciti insieme dopo circa un’ora dalla predetta
abitazione, si sono recati in ospedale”. “Dopo circa un’ora” Calderoli è
uscito per recarsi “nuovamente in aeroporto, dove è salito sullo stesso
aereo con il quale era precedentemente atterrato”.
Da questa cronologia della visita ‘istituzionale’, i magistrati traggono
una tesi ben precisa: “I predetti elementi di fatto, complessivamente
valutati, non integrano esigenze connesse alle funzioni istituzionali
del ministro Calderoli, ma evidenziano invece finalità strettamente
legate alla vita privata del medesimo”, anche perché “non può
attribuirsi rilievo al fatto che il Ministro Calderoli, come affermato
nella propria memoria, avesse impegni istituzionali il giorno precedente
e nel pomeriggio dello stesso 19 gennaio 2011 (impegni comunque esclusi
dalla relazione dell’ispettore capo)”. E sì, perché l’ex ministro della
Semplificazione nella sua tesi difensiva aveva cercato
di rispedire al mittente le accuse: in un primo momento Calderoli aveva
giustificato la necessità del volo di Stato con l’urgenza di far visita
in ospedale al figlio della compagna (ricoverato in prognosi riservata
per un incidente stradale). Successivamente, però, l’esponente leghista
ha modificato versione: era volato a Cuneo su un velivolo della Repubblica perché
si è dovuto occupare della situazione finanziaria della Provincia
guidata dalla sua compagna e che la sua visita in ospedale era solo una
‘deviazione’ sul programma di lavoro, che prevedeva impegni
istituzionali prima e dopo la capatina in ospedale.
A questo punto, a chi gli faceva notare che durante la ‘missione’ non si
era recato in nessun ufficio pubblico, Calderoli ha spiegato che le sue
funzione politiche le aveva esercitate in un’abitazione privata,
giustificando l’utilizzo dell’aereo di Stato perché doveva far rientro immediatamente a Roma per partecipare ai lavori della Commissione sul
federalismo. Per gli inquirenti, però, non c’era nessun impegno
istituzionale né alcuna riunione di organismi parlamentari. E a chi gli
chiedeva perché non avesse raggiunto Torino per prendere un volo di
linea e fare rientro a Roma senza gravare sulle casse dello Stato,
Calderoli si è giustificato dicendo che da Cuneo al capoluogo piemontese non c’è autostrada e che quindi sarebbe stato problematico salire su un volo per comuni mortali.
Tutte spiegazioni che il Tribunale dei ministri non ha accolto, a
differenza di quanto fatto dai membri della Giunta per le autorizzazioni
a procedere del Senato. Per i pm, infatti, l’ex
ministro ha gabbato i funzionari della Presidenza del Consiglio,
giustificando la sua richiesta con “comprovate e inderogabili esigenze
di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”. E’
proprio questa frase a mettere nei guai Calderoli. “Tale affermazione –
hanno scritto i pm – volta ad indurre in errore i funzionari competenti
in ordine alla sussistenza dei presupposti per il rilascio
dell’autorizzazione all’uso dell’aereo di Stato, era altresì idonea ad
orientare la conseguente determinazione”. E infatti i dipendenti della Presidenza del Consiglio
hanno creduto alla motivazione della richiesta e “nella certezza della
veridicità dell’affermazione, in quanto proveniente da fonte qualificata
riconducibile al Ministro (il suo capo di gabinetto, ndr), non hanno
richiesto chiarimenti ed hanno concesso l’autorizzazione”. Da qui il
capo d’imputazione: truffa aggravata nei confronti dei funzionari
statali “perché sussistono gli estremi degli artifici e raggiri idonei
ad indurre in errore”. Non sussistono, invece, le accuse di peculato e
abuso d’ufficio perché Calderoli, in quanto componente del governo, non
aveva diritto al volo di Stato, destinato solo agli spostamenti del
presidente della Repubblica, del Consiglio, di Camera e Senato. Anche
dei ministri, in realtà, ma solo in presenza di “richiesta altamente
motivata”. E non è il caso di Calderoli. Tutto chiaro, tutto documentato. Per molti, tranne che per la maggioranza della Giunta per le autorizzazioni a procedere.
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