martedì 14 febbraio 2012

Morti per amianto, 16 anni ai padroni di Eternit. I familiari: “Finalmente giustizia”

Chiuso il processo di primo grado per 2.191 persone uccise dalle fibre killer. I due imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e il barone belga Louis de Cartier, 90 anni, colpevoli di disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche. 30mila euro di risarcimento per ogni vittima

 Jean Louis de CartierStephan Schmidheiny, proprietari della Eternit, sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. La condanna, pronunciata dal presidente Casalbore, si riferisce ai reati commessi a Cavagnolo e Casale Monferrato. Prescritte invece le condotte relative agli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Lunghissimo l’elenco del risarcimento danni e delle provvisionali per le parti civili: tra questi 4 milioni al Comune di Cavagnolo e 25 milioni per il Comune di Casale, 100 mila euro a Cgil nazionale, Associazione familiari e vittime dell’amianto e Legambiente onlus. Settantacinquemila a Wwf Italia. Undici milioni a Inail. E poi risarcimenti per cifre dai 30 ai 35 mila euro per gli eredi delle vittime.

La sentenza riguarda la morte per amianto di 2.191 persone ed è stata accolta in aula da lacrime liberatorie. Hanno pianto, stringendosi l’uno a l’altro, i parenti delle vittime italiane, ma anche gli esponenti delle delegazioni straniere.

Era visibilmente commossa Fernanda Giannasi, leader del movimento brasiliano: “Dobbiamo mantenere vivo questo movimento, non deve accadere quel che accaduto in Brasile, dove nel 2004 abbiamo vinto in primo grado un processo contro Eternit per 2500 vittime, ma non siamo stati sufficientemente organizzati e abbiamo perso in secondo grado”. C’è soddisfazione in aula, le attese non sono state deluse. I tremila morti italiani non sono morti di cause scientificamente non provate, né per la loro imperizia. C’era chi sapeva e ha fatto finta di niente, anteponendo il proprio profitto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.





Morti per amianto, 16 anni ai padroni di Eternit. I familiari: “Finalmente giustizia”
Chiuso il processo di primo grado per 2.191 persone uccise dalle fibre killer. I due imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e il barone belga Louis de Cartier, 90 anni, colpevoli di disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche. 30mila euro di risarcimento per ogni vittima
Jean Louis de CartierStephan Schmidheiny, proprietari della Eternit, sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. La condanna, pronunciata dal presidente Casalbore, si riferisce ai reati commessi a Cavagnolo e Casale Monferrato. Prescritte invece le condotte relative agli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Lunghissimo l’elenco del risarcimento danni e delle provvisionali per le parti civili: tra questi 4 milioni al Comune di Cavagnolo e 25 milioni per il Comune di Casale, 100 mila euro a Cgil nazionale, Associazione familiari e vittime dell’amianto e Legambiente onlus. Settantacinquemila a Wwf Italia. Undici milioni a Inail. E poi risarcimenti per cifre dai 30 ai 35 mila euro per gli eredi delle vittime.

La sentenza riguarda la morte per amianto di 2.191 persone ed è stata accolta in aula da lacrime liberatorie. Hanno pianto, stringendosi l’uno a l’altro, i parenti delle vittime italiane, ma anche gli esponenti delle delegazioni straniere.

Era visibilmente commossa Fernanda Giannasi, leader del movimento brasiliano: “Dobbiamo mantenere vivo questo movimento, non deve accadere quel che accaduto in Brasile, dove nel 2004 abbiamo vinto in primo grado un processo contro Eternit per 2500 vittime, ma non siamo stati sufficientemente organizzati e abbiamo perso in secondo grado”. C’è soddisfazione in aula, le attese non sono state deluse. I tremila morti italiani non sono morti di cause scientificamente non provate, né per la loro imperizia. C’era chi sapeva e ha fatto finta di niente, anteponendo il proprio profitto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.



Bruno Pesce, presidente di Vertenza amianto, è riconoscente per il “lavoro eccezionale della Procura. È una pena giusta, severa. Credo che il tribunale abbia agito con molto rigore – ha detto – in modo esemplare. Questo dovrebbe fare riflettere tutti i datori di lavoro in merito alla tutela della salute e della sicurezza”. Soddisfatti ovviamente anche i pm e lo staff che ha condotto il lungo lavoro che ha reso possibile il maxiprocesso. Per tutti questa sentenza non è che l’inizio di un lungo percorso. “Ho inziato ad occuparmi di sicurezza sul lavoro dagli anni Settanta, ma da allora tanto è cambiato. Basta guardare quest’aula – da dichiarato il pm Raffaele Guariniello – abbiamo un grande compito, dare una risposta a questa sete di giustizia che arriva dalla popolazione. Dobbiamo entrare nelle stanze dei consigli di amministrazione perché è lì che si decidono le politiche aziendali e quanto si spende per la sicurezza”.

Romana Blasotti, presidente dell’associazione vittime dell’amianto di Casale, è ancora più convinta che sia necessario andare avanti: “Noi vogliamo lottare per la bonifica e per la ricerca. La lotta non finisce qui”. Il mesotelioma pleurico, il tumore provocato dalle fibre d’amianto, le ha portato via il marito, la figlia, una sorella, una cugina e un nipote. E nonostante questo, Romana Blasotti ha trovato la forza di diventare un simbolo della battaglia di Casale Monferrato. Il pool di avvocati svizzeri, coinvolti nella difesa delle parti civili, porta a casa un risultato che spera costituisca un precedente in tutto il mondo.

Unica nota dolente sembra quella dei risarcimenti, più simbolici che sostanziali. Ma questo è un aspetto di cui ci si occuperà in sede civile. Qualche preoccupazione deriva invece dalla concreta possibilità di recupero delle somme stabilite, dato che gli imputati sono stranieri. “Avevamo chiesto di più, hanno riconosciuto la provvisionale, un acconto, comunque non costuisce un problema. Non è speculativo lo spirito di questo processo – spiega l’avvocato di parte civile Rubino –. Insieme agli imputati hanno condannato anche i loro responsabili civili, che sono società con capacità patrimoniali e quindi in grado di onorare i debiti. Questo potrebbe aiutarci visto che bisognerà fare le esecuzioni all’estero e non sarà semplicissimo, per quanto esistano gli strumenti giuridici necessari”.

Di fronte ai giornalisti, l’avvocato Sergio Bonetto cerca però di riportare l’attenzione al vero merito di questo dibattimento: “Spero che si eviti di farlo diventare il processo dei miliardi, e che resti invece il processo del riconoscimento della responsabilità”. Diventa sempre più verosimile l’ipotesi di un processo Eternit-bis, su cui la Procura sta già lavorando e che potrebbe avere come capo di imputazione l’omicidio colposo o doloso. Oggi a Torino si è scritta una pagina di storia. Un passo in avanti è stato fatto per la tutela dei lavoratori in Italia e nel resto del mondo, anche se molto resta ancora da fare”.

Come le associazioni delle vittime, anche gli avvocati hanno deciso di creare una “multinazionale” della giustizia, che faccia da contraltare al cinismo industriale. “Abbiamo creato un’associazione di avvocati, si chiama Interforum Ong. Abbiamo deciso di rendere permanente il lavoro iniziato con il processo Eternit per estenderlo a tutti gli altri processi che riguardano crimini industriali – spiega l’avvocato Bonetto –. Il prossimo 25 febbraio sarà con noi a Parigi per una conferenza stampa, organizzata con i magistrati francesi, per parlare dei processi Eternit e Thyssen. La collaborazione con gli avvocati straniera è fondamentale e lo è stato anche per giungere a questa sentenza: senza i documenti forniti dai colleghi sarebbero mancati pezzi interi dell’inchiesta”.

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