lunedì 9 gennaio 2012

E il Vaticano non paga le bollette dell’acqua

La polemica sull'Ici alla Chiesa ha distolto l'attenzione dagli enormi privilegi di cui gode il Vaticano. Ad incominciare dall'acqua gratuita
Passata la tempesta la Chiesa può tirare un sospiro di sollievo. Alle parole di apertura sul pagamento dell’Ici, come sempre, non sono seguiti i fatti. Così, votata la manovra, anche per il 2012 la Chiesa è salva. O meglio: continuerà a camuffare attività commerciali in attività no profit, in modo da continuare ad evadere il fisco e a fare concorrenza sleale. Alla faccia di Cortina e di tutti i “poveri” con il Suv. Quando si tratta di enti cattolici non c’è Befera che tenga.
Il Vaticano e l’acqua gratis. Ma, al di là dell’Ici non pagata, la Chiesa gode di privilegi ben più grandi. In primo luogo l’acqua. Il Concordato prevede che lo Stato italiano provveda “che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque”. Così tocca al Comune di Roma fornire acqua gratis al Vaticano attraverso la sua (oramai ex) municipalizzata Acea. Con la quotazione in borsa alla fine degli anni novanta, l’azienda decide di richiedere al Vaticano un risarcimento per 20 anni di servizio pari a 50 miliardi delle vecchie lire. Infatti, secondo Acea, il Concordato stabilisce che il Vaticano abbia diritto all’acqua gratuita ma non ai servizi accessori come l’allacciamento alla rete fognaria e alla manutenzione gratuita del sistema idrico nella sua interezza.
Chi non paga le bollette. Dal 1999 ad oggi la Chiesa si rifiuta di pagare appellandosi al diritto internazionale. Per smorzare la polemica, il governo Berlusconi nell’ormai lontano 2004 ha versato ad Acea esattamente la somma richiesta da Acea nel 1999, pari a 25 milioni di euro. Così, mentre i romani hanno pagato e pagano tutt’ora l’acqua del Papa (l’azionista di maggioranza di Acea è il Comune di Roma), il resto degli italiani pagano lo smaltimento dei liquami del Vaticano.
Viva lo spreco. E di acqua il Vaticano ne usa anche molta, decisamente troppa: ben 5 milioni di metri cubi l’anno, secondo Acea. Ma facciamo due conti. Il fabbisogno personale è di circa 54 metri cubi l’anno, pari a 150 litri al giorno. In Vaticano vivono 832 abitanti per un fabbisogno totale di acqua pari a 45mila metri cubi. Dove finisce tutta l’altra acqua? Servizi igienici dei musei vaticani, qualche fontana. Ma è presumibile che molta vada sprecata. Alla faccia di chi, in Africa, fugge dalla siccità, alla faccia di chi muore in guerre per il controllo dell’ “oro blu”. Alla faccia di tutti quegli italiani che si sono visti tagliare l’acqua, la luce, il gas e il telefono quando non riescono a pagare le bollette.

Legge elettorale: la politica vuole il dialogo A giorni la Consulta deciderà sul referendum

Pd, Pdl e Udc d'accordo sulla mozione d'indirizzo, seppur con paletti. Contrari Lega e Italia dei Valori ("Tentativo di boicottare la volontà dei cittadini"). Il governo auspica la comunione d'intenti, ma si tira fuori dal dibattito. Monti da Fazio: "La decisione spetta al Parlamento"

 Il verdetto arriverà non prima di mercoledì prossimo, ma a giudicare dai toni del dibattito politico e dalle strategie messe in campo dai partiti il risultato sembrerebbe segnato. Il rischio che la Corte Costituzionale emetta una sentenza contraria all’ammissibilità del referendum per l’abrogazione della legge elettorale è più che fondato. Lo dicono i pronostici di alcuni parlamentari di peso all’interno degli schieramenti, lo confermano i retroscena pubblicati negli ultimi giorni sui maggiori quotidiani italiani. In tal senso, a poco è servita la smentita ufficiale di chi dovrà prendere la decisione tanto attesa. Venerdì scorso, infatti, la Consulta aveva diramato una nota ufficiale in cui bollava come “fantasiose illazioni” le ricostruzione di Corriere e Repubblica, che anticipavano – con tanti di numeri e scenari a corredo – lo stop ai quesiti referendari da parte della massima Corte, la quale al contempo potrebberilevare alcuni profili di incostituzionalità del Porcellum.

Se così fosse, quindi, la palla passerebbe direttamente ai partiti. Questi ultimi, al di là delle dichiarazioni di facciata, accetterebbero di buon grado il niet dei giudici costituzionali al referendum. Il motivo? Sarebbero ‘salvi’ e avrebbero il tempo di mettere a punto un progetto di riforma elettorale condivisa più o meno da tutti. Nell’emiciclo parlamentare, del resto, nessuno mette in dubbio né la necessità di cambiare l’attuale sistema elettorale, né il modus operandi, ovvero una mozione bipartisan. Il vero problema, però, sono i contenuti. Ed ecco tornare divisioni, spaccature vere e proprie e sospetti di inciucio.

Su quest’ultimo punto arrivano le barricate dell’Italia dei Valori, che difende a spada tratta i referendum e usa parole incendiarie per definire i movimenti degli ultimi giorni tra i partiti. Per Di Pietro e soci, infatti, il dialogo avviato nella attuale maggioranza, dal Pdl al Pd passando per l’Udc, è soltanto un tentativo di “boicottare” la volontà dei cittadini (che da par loro sono già passati al contrattacco). “Pd, Pdl e Udc auspicano più o meno apertamente la bocciatura per tenersi stretto il Porcellum e magari accordarsi su una nuova legge anche peggiore di quella attuale” ha detto il capogruppo Idv al Senato, Felice Belisario, secondo cui “da Quagliariello a Follini si leva un coro bipartisan di uccelli del malaugurio che rafforzano le voci su inaccettabili pressioni verso la Consulta, attuando così un golpe”. Il riferimento dell’esponente dipietrista va a quanto dichiarato da Marco Follini (Pd) e Gaetano Quagliariello (Pdl): per loro la Consulta non ammetterà i quesiti. “Un pronostico a naso” hanno testualmente specificato i due, per una comunione d’intenti anche linguistica.

Diversa la posizione della Lega Nord, il cui vero timore è quello di cadere in un ‘tranello elettorale’ ordito da Pd, Pdl e Terzo Polo per mettere fuori gioco il Carroccio. Pur scongiurare trappole e isolamento, il partito di Bossi ha messo a lavoro due pezzi da novanta: il padre del porcellum Roberto Calderoli e l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, che a dicembre – sentendo puzza di bruciato – ha avvisato i “quasi-alleati’ del Pdl: “Con una nuova legge penalizzante per il Carroccio, finirebbero per sempre le alleanze al nord”.

Le mosse di Idv e Lega, tuttavia, apparentemente non influiscono sul piano di Pd, Pdl e Udc. L’obiettivo sarebbe quello di trovare una intesa, magari per mettere a punto una “mozione di indirizzo” che impegni il Parlamento ad intervenire in materia. Tale ipotesi – ormai un mantra dell’attuale legislatura – è stata rinvigorita dalle parole del vicepresidente del Senato, Vannino Chiti (Pd). “In Parlamento – ha spiegato l’esponente democratico – deve iniziare subito un confronto sulla riforma delle istituzioni e per una nuova legge elettorale. E’ questo il compito delle forze politiche nella fase finale della legislatura. Ne ha bisogno l’Italia perché senza una democrazia funzionante non si vincono le sfide che abbiamo di fronte”. Immediata la benedizione degli alleati. Per Quagliariello (Pdl), “i partiti non possono più aspettare: devono riprendere l’iniziativa politica dopo aver subito l’avvento del governo tecnico”. Per Giampiero D’Alia (Udc) il momento è propizio “perché le Camere avrebbero tutta la libertà e l’autonomia per affrontare finalmente questi temi”. Dalle parole ai fatti il passo è breve: i tecnici dei partiti sarebbero già a lavoro, ma prima della decisione della Consulta difficilmente qualcuno uscirà allo scoperto. In merito al verdetto, però, in pochi hanno dubbi. E’ parere condiviso, infatti, che con il sì ai referendum si creerebbe una notevole fibrillazione tra i partiti, evenienza da scongiurare in un periodo di crisi come questo.

Il problema, comunque, rimarrebbe: il porcellum va riformato in ogni caso, a prescindere da ciò che deciderà la Corte Costituzionale. Come? Con il confronto, a cui apre anche il referendario Arturo Parisi (Pd). Che però avverte: “Non vorrei che un’iniziativa legislativa in questo senso servisse solo per anestetizzare preventivamente i cittadini dal doloroso colpo che arrecherebbe la sentenza di bocciatura del Referendum da troppi e da troppo tempo annunciata. Se così fosse – è il parere di Parisi – i partiti tornerebbero prigionieri dei propri contrasti e non cambierebbe più nulla”.

Sul tema del dialogo, l’Udc non ha dubbi: adesione “senza pregiudiziali” affinché – per dirla con il segretario Lorenzo Cesa – “parta subito il confronto tra i partiti su riforme e legge elettorale”. La strada di impegnare Camera e Senato, quindi, sembra convincere tutti, tranne Idv e Lega, con quest’ultima che vede nell’iniziativa una “inutile perdita di tempo”. Insomma, il punto di arrivo parrebbe segnato. Molto più difficile, invece, trovare un accordo sulla strada da compiere per raggiungere l’obiettivo: tutti i partiti hanno una loro proposta, spesso inconciliabile con quelle dei ‘compagni di viaggio’. Tra paletti e distinguo, l’iter è tutto in salita.

Nel Pdl, ad esempio, c’è chi pone condizioni ben precise: oltre alla legge elettorale, va modificato anche il sistema istituzionale. Tradotto: si invoca il ritorno del “piano Berlusconi”, ovvero un pacchetto di riforme istituzionali (e costituzionali) che intervengano sull’architettura dello Stato. Illuminanti le parole di Osvaldo Napoli, secondo cui la modifica del porcellum “non è sufficiente da sola a restituire autorevolezza alla politica, perché occorre conferire al premier i poteri propri degli altri primi ministri nelle grandi democrazie”. All’ipotesi di riforme più ampie apre anche l’Udc, in linea con i recenti appelli del Presidente della Repubblica, che ha chiesto ai partiti di avere “più apertura e contatti” al fine di arrivare “a risultati in materia di riforme istituzionali ed anche qualcuna con implicazioni costituzionale”.

Il quadro, quindi, è tutto in divenire. L’unico a non prendere posizione è il governo. Per evidenti ragioni di opportunità e correttezza istituzionale. Monti, tuttavia, non ha mai nascosto l’auspicio che una modifica delle legge possa consentire una minore conflittualità tra i partiti. “Non tocca al governo, dovranno occuparsene i partiti”: così il capo del governo ha risposto ad una domanda ad hoc di Fabio Fazio durante la puntata odierna di “Che tempo che fa”. Il conto alla rovescia è partito: mercoledì la Consulta potrebbe rendere nota la decisione sull’ammissibilità dei quesiti referendari, ma intanto la politica è già a lavoro. Il risultato è scontato: sarà riforma condivisa, a meno di sorprese inaspettate da parte dei giudici costituzionali.

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Trenitalia e le discriminazioni dei suoi nuovi Frecciarossa




Per mettere a tacere le critiche decennali, Trenitalia sforna quattro nuove "classi" per il suo (ex) gioiellino ad alta velocità, dove potranno viaggiare proprio tutti. Anche gli immigrati, che, viste le foto, sceglieranno sicuramente il servizio Standard che tuttavia «rende i passeggeri prigionieri delle proprie carrozze».

 

Trenitalia non ce la fa proprio a non far parlare di sé. Dal punto di vista negativo, sia chiaro. E stavolta udite udite non è solo, come succede da decenni a questa parte, per i soliti disservizi. E già perché dopo essersi “scusata per il disagio” un'infinita di volte coi passeggeri per gli orari non rispettati e le odissee dei pendolari, dopo i tagli del personale, gli incendi e, least but not last, l’entrata in vigore del nuovo orario che ha portato alla scomparsa di numerosi convogli a media e lunga percorrenza e i collegamenti notturni tra il Sud e il Nord del Paese, ora la compagnia ferroviaria è investita da una nuova polemica che riguarda quello che un tempo alcuni consideravano il suo gioiellino: la Frecciarossa.Il servizio ad alta velocità di Trenitalia ha annunciato grandi cambiamenti per il nuovo anno. Con l'addio alla distinzione tra prima e seconda classe, ora gli italiani potranno viaggiare con quattro nuovi tipi di fruizioni con tariffe diversificate: Executive, Business, Premium e Standard. Una suddivisione che a ben vedere porta a rispolverare il concetto di classe come non succedeva dai tempi del Titanic. Infatti i più benestanti non potranno che scegliere la carrozza Executive per il loro spostamenti: “un viaggio esclusivo”, come dice lo slogan, per sole otto persone sedute su poltrone in pelle con reclining fino a 138° e poggiagambe regolabile. Diversi i servizi: pasti e bevande a tutte le ore, giornali riviste e un monitor HD a 32 pollici. Per chi invece ama la tranquillità e vuole un viaggio in completo relax si consiglia il viaggio in Business class nell'apposita Area del Silenzio. Non potranno lamentarsi neanche coloro che sceglieranno di viaggiare in Premium class tra poltrone in palle e pareti divisorie in cristallo.

Le sorprese della “classe” Standard di Frecciarossa

Fin qui nulla di strano. Il viaggio dipende dalla possibilità del nostro portafoglio. I problemi emergono quando si vanno a leggere le caratteristiche della Standard class in Frecciarossa. Viene infatti specificato che, coloro che evidentemente non possono permettersi di viaggiare nelle classi più facoltose, si muoveranno comunque a 300 all’ora, ma senza i beneficio di cui sopra. Ma soprattutto che, onde evitare di disturbare gli altri passeggeri, «non è consentito l’accesso alle carrozze Premium, Business e Executive». Al massimo se vi viene fame c'è un «carrellino bar per l’acquisto di prodotti food, bevande calde e fredde e caffè espresso in sostituzione dell’accesso alla carrozza bar/ristorante riservata ai clienti Executive, Business e Premium.»


La «follia» è stata prontamente denunciata dall’Adoc che sottolinea come i passeggeri della Standard sui Frecciarossa sono «letteralmente prigionieri nelle carrozze a loro riservate», dichiara Carlo Pileri, presidente dell' Associazione per la difesa e l'orientamento dei consumatori. «Trenitalia, dopo l'umiliare quotidianamente i pendolari, non rispettare gli orari dei treni, non rimborsare congruamente per i continui disservizi, ora vuole tornare ai servi gleba o ai paria.»
Come se non ciò non bastasse a documentare una discriminazione bella e buona, la foto di presentazione per ogni categoria di viaggio documenta a pieno la disparità di trattamento sfociando addirittura nel razzismo. Se nell'Executive ci sono manager ed alti dirigenti, in Standard c'è quella che ha tutta l'aria di essere un famiglia di immigrati.
Siamo sicuri che la nuova campagna di marketing di Trenitalia avrà fatto breccia nei cuori della Lega Nord. Noi invece vi consigliamo di prendere l'aereo, che fa certamente meno ritardo, costa meno e non vi tratta da reietti.

domenica 8 gennaio 2012

Un Vday per la Costituzione


L'Italia è una dittatura partitocratica, della democrazia non ha neppure il profumo.Inutile girarci intorno, il cittadino non conta nulla. Da piazzale Loreto sono cambiate solo le forme del Potere, la sostanza è rimasta la stessa. I partiti si reggono su un tavolino a tre gambe. La prima gamba sono i cosiddetti "rimborsi elettorali" pari a un miliardo di euro, senza i quali i partiti cesserebbero di esistere dopo una settimana. La seconda gamba sono i media, i giornali foraggiati dal finanziamento pubblici, la Rai asservita ai partiti, Mediaset a cui sono state date in concessione le frequenze nazionali per un pugno di euro. La terza gamba è parte della Costituzione, disegnata per garantire l'egemonia dei partiti e l'esclusione dei cittadini dalla cosa pubblica. E' opportuno fare un passo indietro. La Costituzione venne scritta nel dopoguerra dall'Assemblea Costituente dominata da esponenti di tre partiti: la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e il Partito Comunista. I partiti hanno scritto la Costituzione come un abito su misura. La Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948. Non si tenne alcun referendum per confermarla ed è quasi impossibile cambiare un suo articolo senza la volontà del Parlamento, quindi dei partiti.
La Costituzione non prevede referendum propositivi, ma solo abrogativi con il quorum. Il cittadino che rappresenta la "volontà popolare" così celebrata nella Costituzione, non può proporre nulla, solo cancellare. Il cittadino può raccogliere firme per una proposta di "legge popolare", ma il Parlamento non è obbligato a discuterla (come è avvenuto per "Parlamento Pulito" con 350.000 firme lasciate a marcire nelle cantine del Senato). Il cittadino non può votare per un candidato, i segretari di partito decidono per lui chi sarà senatore o deputato. La Costituzione non garantisce la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, questo è un fatto, e quindi in parte va cambiata e sottoposta a referendum confermativo.
Il primo Vday fu dedicato ai partiti, il secondo ai media, i loro cani da guardia, il prossimo Vday sarà dedicato alla Nuova Costituzione. Nel blog sarà avviato un pubblico dibattito, come sta avvenendo in Islanda, per discuterla punto per punto. Chi sventola in toto l'attuale Costituzione come un Vangelo e si indigna e si aggrappa ad essa come un naufrago, o non l'ha letta o l'ha capita troppo bene. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure. Ci vediamo in Parlamento.

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venerdì 6 gennaio 2012

Messaggio di fine anno 2011 di Beppe Grillo


"Auguri a tutti per l’anno 2012.  Che sia un anno povero, ma bello!
Il prossimo anno deve essere l’anno del ricordo. Dobbiamo ricordare ogni viso, ogni tratto dei politici che hanno distrutto l’Italia. Dobbiamo, con un po’ di disgusto, ricordare tutte queste facce di merda che continuano a dare giudizi e consigli in televisione. Lo so, non è bello, dà il vomito, MA A VOLTE RITORNANO e bisogna ricordarsi di loro per impedire che si ripresentino alle elezioni del 2013.
Il Paese è ormai devastato: finanza, società, lavoro, impresa, ambiente. Per salvarsi i politici cercano di dividerci. Tutti contro tutti. Ogni giorno c’è una nuova classe da demonizzare, i pensionati, i dipendenti statali, gli evasori, i corruttori, i negozianti, i tassisti. La classe politica va azzerata e isolata.  Per un Casini o un Fassino, un Cicchitto o un Brunetta va previsto l’isolamento sociale. Gli italiani non devono più avere rapporti con questa gentaglia. A Varese un negoziante ha avuto un’idea straordinaria. Ha appeso un cartello fuori dal suo negozio con l’avviso “Vietato l’ingresso ai politici”. Questa azione va replicata nei negozi di tutta Italia e non solo, anche nei taxi, nei cinema, in qualunque esercizio pubblico. Chi ha cancellato il futuro di almeno due generazioni di giovani e costretto i vecchi a lavorare fino alla morte non va dimenticato, non va lasciato libero di fare altri danni. Il secondo Paese europeo per emigrazione dopo la Romania è l’Italia. Laureati, diplomati, professionisti, quasi tutti giovani hanno lasciato la nostra terra. In compenso abbiamo i parlamentari più vecchi d’Europa. Nel blog e in una pagina Facebook “Vietato l'ingresso ai politici” ho pubblicato una locandina da appendere ovunque vogliate. La faccia è quella tipica del politico italiano, una faccia da culo. Lo riconoscete anche da lontano.
Siamo tutti preoccupati per quello che può succedere. Di sicuro aumenterà la disoccupazione e entreremo in una dura recessione. Ci saranno pochi soldi in giro e se li terranno ben stretti le banche. Ma può essere anche un anno con i suoi lati positivi. Molti giornali di partito chiuderanno dopo aver raccontato balle per decenni con i soldi pubblici. Consumeremo di meno e quindi inquineremo di meno. Il prezzo degli immobili precipiterà come è avvenuto in Spagna e in Inghilterra. La febbre del mattone scenderà e salveremo qualche prato, qualche angolo d’Italia. Può essere l’Anno del Risveglio, forse un po’ brutale per alcuni, in cui ci renderemo conto che non possiamo delegare le nostre vite con una croce su un simbolo elettorale, ma dobbiamo informarci, partecipare in prima persona alla cosa pubblica, dall’inceneritore sotto casa, alle leggi vergogna come lo Scudo Fiscale. Partecipare o essere schiavi. Capiremo che questa è una scelta, non un destino. E dipende da noi.
Vorrei richiamare alla realtà il professor Monti. Ha la faccia dell’onest’uomo, istruito, onesto. Fa parte di quella cerchia di persone dal tratto nobile che non si è mai esposta contro il Sistema. E ne ha sempre goduto i benefici Lui, come altri, avrebbe potuto mettersi in gioco in questi anni e non lo ha fatto.  Per questo lo hanno scelto. Le prime misure che ha preso hanno favorito un solo soggetto: le banche. Il suo vice di fatto è Passera, l’ex amministratore delegato di Banca Intesa. Se due indizi fanno una prova, Monti è lì per salvare il culo alle banche, non all’Italia. Le imprese non hanno liquidità, i clienti non pagano e il primo a non pagare è lo Stato. Passera ha proposto di pagare le imprese con titoli di Stato. Geniale, il numero di imprenditori suicidi salirà. Lo Stato prima di chiedere alle imprese di pagare le tasse deve rimborsare i suoi debiti nei loro confronti, a iniziare dall’Iva. Il Paese va rifondato e per farlo bisogna partire dalle fondamenta, dalla Costituzione. Questa Costituzione garantisce i partiti ed esclude i cittadini. Il cittadino non può fare nulla. Non può indire un referendum propositivo. Se propone un referendum abrogativo è necessario raggiungere un quorum, se lo vince, come per la cancellazione del nucleare e dei finanziamenti pubblici ai partiti, la sua volontà è ignorata. Non ha il diritto di vedere discusse le proposte di leggi popolari. Non può neppure scegliere il candidato alle elezioni politiche. Se tutto questo è costituzionale questa Costituzione va cambiata al più presto con il concorso dell’intera Nazione come sta avvenendo In Islanda con votazioni on line. Fuori i partiti dalla democrazia, dentro invece i Movimenti e la partecipazione diretta dei cittadini." Buon anno da Beppe Grillo

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Anche umiliato, mio padre operaio odorava di dignità

Ero tornato da poche ore, l’ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera. Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica. L’ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo. L’ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie. L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università. L’ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro. L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze. Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro. Ma mi è mancata l’aria, quando lunedì 26 luglio 2010, su “La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del professor Mario Deaglio.
Nell’esposizione del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro” doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal professor Deaglio a “Radio 24” tra le 17,30 e la 18,00 di martedì 27 luglio 2010).
Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l’aria. Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino. Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia. Era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis. Odorava di dignità.

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giovedì 5 gennaio 2012

Caccia a tutti i costi

Acquistare i 131 caccia bombardieri F35 nell'ambito del programma Joint Strike Fighter costerà all'Italia almeno 15 miliardi di euro. Una campagna e molte voci chiedono da tempo di evitare questa spesa. Fino ad ora la risposta dei fautori del progetto era stata: “Le penali sono troppo alte”. Ma l'inchiesta di Altreconomia dimostra una cosa diversa.


“Non credo proprio che sarà così” pare abbia detto il neo ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, a chi gli chiedeva se i “sacrifici” imposti dal Governo avrebbero riguardato anche le spese militari. “La crisi non fa venire meno funzioni fondamentali come la Difesa”.
E i pacifisti potranno pure avere il diritto di esprimere la propria opinione ma “che sia corretta è da vedere” ha concluso il ministro.
Su questo tema il caso emblematico è quello dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35, il programma militare più costoso della storia guidato dagli Stati Uniti in compartecipazione con altri 8 Paesi tra cui l’Italia (che è partner di “secondo livello” come la Gran Bretagna).
Da tempo e da più parti si chiede che questa spesa (i conti parlano per l’Italia di almeno 15 miliardi di euro in 11 anni) sia cancellata, o almeno ridotta, anche perché le stime di costo per ciascuno dei 131 velivoli che il nostro Paese si è impegnato ad acquistare hanno sfondato tutte le previsioni iniziali. “Impossibile -è la risposta più utilizzata-: il prezzo delle penali sarebbe maggiore della fattura di acquisto”.
La documentazione ufficiale dell’operazione si trova sul sito www.jsf.mil. Da questa si evince qualcosa di ben diverso: l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione. Lo prevede il “Memorandum of Understanding” del Joint Strike Fighter (in pratica, l’accordo fra i Paesi compartecipanti) sottoscritto anche dall’Italia con la firma apposta il 7 febbraio del 2007 dall’allora sottosegretario Giovanni Lorenzo Forcieri (governo Prodi). La sezione XIX del documento (l’ultimo aggiornamento ufficiale di fine 2009 è scaricabile qui a lato) stabilisce che qualsiasi Stato partecipante possa “ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificarsi agli altri compartecipanti” (par 19.4). In tale evenienza il Comitato Esecutivo del Jsf deciderà i passi successivi e il Paese che ha deciso di lasciare il consorzio continuerà a fornire il proprio contributo, finanziario o di natura operativa, fino alla data effettiva di ritiro.
Il Memorandum mette comunque al riparo tale mossa da costi ulteriori. In caso di ritiro precedente alla sottoscrizione di qualsiasi contratto di acquisto finale degli aerei nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva, altrimenti condivisi, potrebbero essere imputati (par. 19.4.2) e “in nessun caso il contributo finanziario totale di un Paese che si ritira -compresi eventuali costi imprevisti dovuti alla terminazione dei contratti– potrà superare il tetto massimo previsto nella sezione V del Memorandum of Understanding” (par. 19.4.3).
E cosa stabilisce questa sezione? Che i costi non-ricorrenti e condivisi di produzione, sostentamento e sviluppo del progetto siano distribuiti, secondo tabelle aggiornate a fine 2009, in base al grado di partecipazione al programma di ciascun Stato. Per l’Italia ciò significa, nell’attuale fase (denominata “PSFD”: Production, Sustainment, Follow-on Development), una cifra massima totale, calcolata a valori costanti del dollaro, di 904 milioni.
Niente di più, in caso di ritiro prima di un qualsiasi contratto di acquisto dei velivoli.
Addirittura agli Stati Uniti è concesso, nel paragrafo 19.7, un ritiro unilaterale dal programma sebbene il totale previsto di 2.443 aerei da acquistare (cioè il 75% del totale) impedisca nei fatti di compiere tale scelta.
Proprio sulla base di queste parti dell’accordo Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma, in qualche caso arrivando a una vera e propria sospensione.
Alle spesa che l’Italia ha già pagato per il programma Jsf occorre aggiungere inoltre il miliardo di euro circa pagato per la precedente fase di sviluppo SDD (System Development and Demonstration) e i circa 800 milioni (di euro) previsti complessivamente ed in autonomia per l’impianto Final Assembly and Check Out (Faco) di Cameri. L’insediamento costituirà il secondo polo mondiale di assemblaggio degli F-35, ed è stato voluto fortemente dal governo italiano in cooperazione con i Paesi Bassi. Cameri è la sede in cui Alenia (un’industria privata in un insediamento produttivo pubblico) dovrebbe costruire le ali (ma solo quelle sinistre) del velivolo. L’appalto è stato assegnato alla società controllata da Finmeccanica per sub-contratto.
Fatti due conti, il totale degli oneri già determinati a carico del contribuente italiano ammonta a  2,7 miliardi di euro. E ci si potrebbe fermare qui.
La situazione sarebbe completamente diversa in caso di sottoscrizione già avvenuta del contratto di acquisto degli aerei: non più un accordo tra Stati partner per la suddivisione di costi di un progetto congiunto, ma vero e proprio ordine di acquisto inoltrato all’azienda capo-commessa Lockheed Martin. In tale caso l’investimento andrebbe a lievitare sia per il costo in sé dei 131 velivoli previsti, sia per le penali in caso di ritiro che sicuramente l’impresa Usa non mancherebbe di esplicitare. Per questo Lockheed Martin ha cercato, negli ultimi anni, di premere per la costituzione di un consorzio di acquisto tra alcuni dei Paesi del progetto.
Già dal 2007 i manager del board JSF hanno incoraggiato, con la promessa di prezzi più bassi, i partner a sottoscrivere contratti di acquisto. Ma questa ipotesi prevedeva sanzioni: qualsiasi cliente avesse annullato o ritardato le consegne avrebbe dovuto compensare gli altri membri del consorzio per l’aumento dei costi unitari derivanti. Una spada di Damocle che non è piaciuta a nessuno, tanto che fonti del governo australiano hanno dichiarato “morta” la trattativa già a fine 2009. Fonti militari ci confermano oggi che nemmeno lo Stato italiano, dopo il Memorandum del 2007, ha firmato ulteriori accordi a livello governativo.
L’impatto per le nostre tasche sarebbe ben diverso se l’Italia continuasse sulla strada intrapresa, arrivando a firmare un contratto con Lockheed Martin. L’ultima “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa” disponibile (quella per il 2011, perché nella Legge di Stabilità di fine anno del governo Berlusconi nessun dettaglio è riportato, nemmeno per i tagli lineari già previsti dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti) stanzia per tutta la fase di acquisto dei 131 caccia ipotizzati, da completarsi nel 2026, un costo complessivo di 13 miliardi di euro.
In realtà le più recenti stime basate sui dati del Pentagono proiettano il costo finale di ciascun esemplare a più del doppio dell’ipotesi iniziale elaborata dai tecnici del programma; ciò significa che la fattura per l’Italia (compresi anche i propulsori, pagati a parte) potrebbe tranquillamente ammontare -e stiamo parlando di stime in continua crescita- ad almeno 15 miliardi di euro. Soldi da pagare in corrispondenza dei singoli contratti d’acquisto, spalmati su più anni. Senza contare che, in particolare per i progetti aeronautici, i costi maggiori si hanno con il mantenimento e la gestione dei velivoli.
Dando retta alla tabella che distribuisce la produzione dei velivoli per singolo anno e singolo Paese, invero un po’ datata, l’Italia dovrebbe iniziare ad acquistare aerei nel 2012 (4 esemplari) per finire nel 2023 (10 esemplari con picco di 13 aerei tra il 2016 e il 2018). Le consegne effettive sono previste due anni dopo la firma di ciascun contratto. Proiettando il tutto in termini monetari ciò comporterebbe un costo dai 460 ai 1.495 milioni di euro all’anno da qui al 2023, con un costo medio annuale di almeno 1.250 milioni.
Eppure sarà difficile vedere un “dietro-front” del nostro Paese su questo progetto, almeno per mano del Governo “tecnico” attualmente in carica. È stato infatti proprio l’attuale ministro della Difesa Di Paola a firmare, con una cerimonia a Washington nel giugno 2002, l’accordo per la partecipazione italiana da un miliardo di euro alla prima fase SDD (come si vede nella foto accanto, diffusa dal Dipartimento della Difesa USA e disponibile sul sito del progetto JSF). Secondo il direttore del programma JSF del tempo Jack Hudson, l’ammiraglio Di Paola (a quell’epoca Segretario generale della Difesa) è stato un “formidabile sostenitore per il Jsf in Italia; la sua appassionata energia e la sua visione sono state di valido aiuto per il completamento dei negoziati”. Peccato che, durante i discorsi ufficiali, Di Paola non sia stato buon profeta nell’affermare che con il Jsf si sarebbe sperimentato un nuovo approccio al procurement militare ottenendo alti risultati “con un’attenzione stringente al controllo di costo”. La crescita vertiginosa del prezzo ha dimostrato ben altra realtà.

Visto che la “foglia di fico” delle penali si è rivelata solo fumo negli occhi, sarebbe il caso di mettere realmente in discussione un programma che ci costerà circa oltre un miliardo di euro all’anno solo per l’acquisto degli aerei, poi da mantenere. Nemmeno la giustificazione del ritorno industriale pare plausibile (si favoleggia del 75% dell’investito) e soprattutto sono da ridimensionare fortemente le stime occupazionali legate alla partecipazione dell’industria italiana al progetto. Le parti sociali, in particolare sindacali, hanno stabilito in 200 (più 800 nell’indotto) i posti di lavoro creati, mentre il ministero della Difesa prevede 600 occupati alla struttura FACO di Cameri. Non certo i 10.000 impieghi raccontati per anni da politici e manager compiacenti con il programma. Studi recenti dimostrano che spostare un miliardo di dollari dalla Difesa al comparto delle energie rinnovabili aumenterebbe del 50% il tasso di occupazione: addirittura del 70% se re-investiti in ambito sanitario.
Un mondo senza conflitti, secondo i calcoli dell’australiano Institute for Economics and Peace che elabora il Global Index of Peace avrebbe creato un valore economico positivo di 8.000 miliardi di dollari, con un terzo di questa cifra derivante dalla riconversione dell’industria bellica.

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Dal Nord al Sud l’Italia dei corrotti “L’abitudine alla mazzetta fa salire lo spread”

Il 2011 è stato segnato da decine di vicende di tangenti a livello locale. Dal preside al medico, dal funzionario comunale al sindaco. Per la Corte dei conti il costo della corruzione vale 60 miliardi annui

 Se vuoi vendere merendine e bibite nella mia scuola, dammi 300 euro al mese. Al barista di Ravanusa (Agrigento) che si è sentito rivolgere la richiesta è venuto un colpo. Una tangente per entrare nell’istituto durante l’intervallo. E anche piuttosto cara. Così ha avvisato i carabinieri e Pino Calogero Bona, vice preside della media Alessandro Manzoni, è stato arrestato. Per poi patteggiare lo scorso marzo due anni di carcere con sospensione della pena. Una storia come tante, in un Paese dove la mazzetta si continua a chiedere e a offrire. Tanto che a scorrere le cronache del 2011 si capisce perché la Corte dei conti stimi il costo annuale della corruzione per le casse dello Stato in 60 miliardi di euro. Stesso ordine di grandezza di una manovra del governo.

Casi di piccola corruzione che coinvolgono il cittadino comune. A fianco di scandali di livello nazionale, che coinvolgono aziende come Finmeccanica. Inchieste su tangenti con al centro politici di destra. E di sinistra. Ci sono Marco Milanese, deputato del Pdl ed ex braccio destro di Giulio Tremonti, e Alberto Tedesco, ex senatore del Pd coinvolto nell’inchiesta sulla sanità pugliese. Entrambi salvati dall’arresto grazie a un voto del Parlamento. Filippo Penati e Franco Nicoli Cristiani sono ex colleghi di schieramenti opposti alla vice presidenza del Consiglio regionale della Lombardia. Il primo è nel mirino della magistratura per un giro di presunte tangenti sull’ex area Falk di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Il secondo è finito in manette perché trovato in casa con i 100mila euro che l’imprenditore Pierluca Locatelli gli aveva consegnato per facilitare i permessi per una discarica. Ma l’almanacco della mazzetta 2011 è pieno di nomi di politici che operano a livelli più bassi. Rimanendo in Lombardia, per l’ex sindaco di Cassano D’Adda, Edoardo Sala, sono state predisposte le misure di custodia cautelare in carcere a conclusione di un’indagine su tangenti per tre milioni di euro legate a modifiche del piano urbanistico.

Risultato: nella classifica del Corruption perception index redatta ogni anno dall’organizzazione non governativa Transparency International l’Italia è scivolata nel 2011 dal 67esimo al 69esimo posto, seguita tra i Paesi dell’Unione europea solo dalla Grecia. “L’indicatore della corruzione precipita – spiega Maria Teresa Brassiolo, presidente di Transparency International Italia – influenza il rating del nostro Paese e quindi anche lo spread”. Come a dire: le conseguenze economiche delle tangenti sono più gravi di quanto si pensi. “Rispetto al resto del Continente – continua Brassiolo – in Italia è molto più diffusa la piccola corruzione”. I protagonisti del malcostume non sono quindi tanto i manager delle grandi multinazionali, poco numerose da noi, ma l’imprenditore locale, l’assessore del piccolo Comune, il consigliere della municipalizzata o il funzionario pubblico. Fenomeno che secondo Brassiolo dipende dal fatto che “in Italia c’è una tolleranza maggiore dei cittadini alle situazioni ingiuste e all’illegalità: sono in tanti a cercare di trarne vantaggio, senza scandalizzarsi”. A un cittadino, insomma, viene chiesta una mazzetta. E lui, anziché indignarsi e sporgere denuncia come accadrebbe in altri Paesi, spesso si accorda con la controparte.

A volte, però, qualcuno non ci sta. Come il pensionato novantenne che lo scorso aprile ha fatto arrestare in flagranza di reato un ufficiale giudiziario di Roma: gli aveva chiesto 200 euro come obolo per ottenere l’esecuzione di uno sfratto per morosità. In carcere, a dicembre, è finito pure Gianluca Carta, il geometra del Comune di Milano che ha chiesto alla griffe Bluemarine 2mila euro per un aiutino al permesso per aprire un negozio.

Almeno altri due sono i casi nell’ultimo mese dell’anno che rendono bene l’italico malcostume. Carlo Cetera, primario di Ginecologia all’ospedale Pieve di Cadore (Belluno), speculava sui sogni di maternità e paternità delle coppie che non riuscivano ad avere figli e chiedeva fino a 2.500 euro per ridurre i tempi di attesa per accedere alla procreazione assistita. Questa l’ipotesi degli inquirenti che hanno ottenuto il suo arresto. Alessandro Zeschi, ispettore dell’ufficio stranieri del commissariato Prenestino a Roma, aveva invece buon gioco con gli immigrati: niente bustarella, niente permesso di soggiorno.

Tra le cause del proliferare della corruzione in Italia Nicola Pasini, docente di Sistemi politici e amministrativi all’Univeristà degli studi di Milano, individua il cattivo funzionamento della pubblica amministrazione: “Spesso i meccanismi farraginosi della burocrazia rappresentano degli ostacoli per aggirare i quali vengono usate le mazzette”, spiega. In Italia poi non esiste un sistema di lobbying trasparente, ma i tentativi di influenzare i funzionari pubblici vengono fatti di nascosto. “E la stampa – continua Pasini – non svolge la sua essenziale funzione di cane da guardia”.

Così accanto alla cricca di Balducci, Anemome e Bertolaso, finita sotto inchiesta per gli appalti del G8, crescono su un terreno fertile le piccole cricche. Come quella dell’isola di Ponza, dove a settembre è stato arrestato il sindaco Pompeo Rosario Porzio, insieme a tre assessori e tre imprenditori: tutti accusati di essersi messi d’accordo sull’affidamento di undici appalti, per un valore complessivo di tre milioni di euro. Giunta decapitata sull’isola dei vip. E giunta colpita da uno scandalo dopo l’altro a Parma, dove tre mesi fa il sindaco di centrodestra Pietro Vignali si è arreso alle manifestazioni di indignati sotto il municipio. E si è dimesso, dopo che per tangenti gli erano via via stati arrestati il capo dei vigili, un assessore e diversi funzionari comunali .

Non è solo nei bar di Parma che si è parlato di corruzione oltre che di sport. A Venezia sette dipendenti comunali sono finiti in manette a fine marzo per mazzette su permessi per l’ampliamento di strutture turistiche, mentre a inizio febbraio erano stati arrestati due funzionari della Provincia e cinque imprenditori: le mazzette arrivavano al 3% su almeno 5 milioni di lavori pubblici e il procuratore aggiunto del capoluogo veneto, Carlo Mastelloni, aveva parlato di una “cricca degna di Tangentopoli”.

Un bel po’ più a sud della Laguna, sotto il Vesuvio la moda 2011 è stata la mazzetta pro assunzione. Per un giro di tangenti imposte a chi ambiva a un posto di lavoro sono stati arrestati Sabato Carotenuto, ex direttore dell’azienda trasporti di Napoli (Anm), e Vincenzo Colimoro, dipendente dell’azienda e sindacalista Uil. Questo accadeva a maggio. Passati due mesi, a finire sotto accusa è stato il sistema di assunzioni clientelari e il giro di tangenti in un’altra municipalizzata: l’Asia, che nel capoluogo campano vuol dire raccolta di rifiuti.

Dalle Alpi alla Sicilia abitudini simili. Eppure, in mezzo allo Stivale, il disegno di legge anticorruzione continua a rimanere bloccato in Parlamento. Il Fatto quotidiano ha già portato avanti nel 2010 una campagna per un testo più rigoroso di quello in discussione allora e mai approvato. “La legge va votata al più presto – sostiene Maria Teresa Brassiolo – con alcune correzioni coerenti con gli impegni internazionali. Va introdotto ad esempio il reato di corruzione tra privati, perché anche una mazzetta data da un fornitore al buyer di un supermercato incide sui costi dei cittadini”.

Secondo Nicola Pasini è essenziale poi intervenire non solo a valle del malaffare, punendone i colpevoli. Ma bisogna anche fare prevenzione, “attraverso l’educazione civica nelle scuole e l’insegnamento nelle università dell’Etica pubblica, una disciplina che è presente in tutte le business school dei Paesi anglosassoni. Importante sarebbe poi dotare gli enti di opportuni codici etici”. Misure che, secondo Pasini, potrebbero portare a un cambiamento di mentalità, necessario per sconfiggere la corruzione. Visto che dagli anni di Tangentopoli ad oggi non si è indebolita “la collusione tra sistema politico, sistema economico, burocrazia pubblica e anche società civile”.

Battaglia difficile in un Paese dove le bustarelle non sono solo un mezzo per accaparrarsi opere pubbliche. Grandi classici si sono infatti confermate per tutto il 2011 anche le mazzette offerte dalle imprese funebri agli infermieri delle camere mortuarie per ricevere prima dei concorrenti i dati sulla famiglia del caro estinto di turno. E le tangenti chieste da funzionari pubblici di mezza Italia per consegnare senza troppi problemi la patente di guida, quella nautica o una qualsiasi licenza.

Tutti fenomeni destinati ad aggravarsi con la crisi, che secondo Maria Teresa Brassiolo un effetto lo ha già avuto: “Il sistema statale è in ritardo coi pagamenti per 60 miliardi di euro – dice -. E così alla corruzione nella fase di aggiudicazione dell’ordine si aggiunge quella nella fase del pagamento”. All’imprenditore magari viene chiesta un oliatina per far partire il bonifico. E se lui non ci sta, rischia il fallimento.

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Fisco, sorpresa dai controlli a Cortina villeggianti "poveri" con auto di lusso

I risultati della maxioperazione antievasione condotta a Capodanno dall'Agenzia delle entrate: 251 auto di lusso intestate a 133 persone fisiche, 42 delle quali dichiarano 30mila euro di reddito lordo. E nel giorno del blitz boom di incassi in negozi e ristoranti. Cicchitto e Santanchè: "Operazione mediatica". Il sindaco: "Metodi da stato di polizia"

Cortina, 42 Supercar con titolari sotto 30mila euro

 ROMA - Neve, impianti aperti, luci di un Natale appena finito e, a sopresa, controlli fiscali a tappeto. Così nei giorni di fine anno gli incassi degli esercizi commerciali di Cortina d'Ampezzo - tra alberghi, bar, ristoranti, gioiellerie, boutique, farmacie, e saloni di bellezza -, "sono lievitati rispetto sia al giorno precedente sia allo stesso periodo del 2010". A comunicarlo è l'Agenzia delle entrate del Veneto, diffondendo i primi risultati dell'operazione di prevenzione dell'evasione condotta nel primo giorno dell'anno. "I ristoranti - sottolinea l'Agenzia - hanno registrato incrementi negli incassi fino al 300% rispetto allo stesso giorno dello scorso anno, i commercianti di beni di lusso fino al 400% rispetto allo stesso giorno dell'anno prima, i bar fino al 40% rispetto allo stesso giorno dello scorso anno (+104% rispetto al giorno prima)".

Ma i dati più eclatanti arrivano dai controlli incrociati a partire dalle auto di lusso, un sistema che il governo Monti ha annunciato di voler potenziare. A Cortina sono state controllate le dichiarazioni dei redditi dei 133 proprietari di 251 auto di lusso di grossa cilindrata: 42 di queste sono risultate di proprietà di "cittadini che fanno fatica a 'sbarcare il lunario'", avendo dichiarato 30mila euro lordi di reddito sia nel 2009 sia nel 2010; altre 16 auto sono risultate intestate a contribuenti che negli ultimi due anni fiscali dichiarato meno di 50 mila euro lordi. Le restanti 118 supercar "analizzate" erano intestate a società: in 19 casi, società che negli ultimi due hanno dichiarato bilanci in perdita; in 37 casi società che hanno dichiarato meno di 50 mila euro lordi.

L'operazione, messa in campo nella celebre località del Cadore lo scorso 30 dicembre, ha impegnato 80 agenti che hanno effettuato controlli in soli 35 esercizi commerciali (su un totale di quasi mille) ed ha portato, dice l'Agenzia veneta delle entrate, "risultati e informazioni utili per il recupero dell'evasione". Non sono mancati singoli episodi particolari, dichiara l'Agenzia, come quello di un commerciante che "deteneva beni di lusso in conto vendita per più di 1,6 milioni di euro, senza alcun documento fiscale".

Il blitz ha suscitato violente polemiche, non solo da parte degli operatori turistici cortinesi. Operazione "mediatica, chiaramente ispirata a una concezione ideologica del controllo fiscale", l'ha definita il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. Sbagliato il metodo scelto anche per Daniela Santanché, habitué della località sciistica. "Sono assolutamente contraria - dice l'ex sottosegretario - a questi metodi da polizia fiscale e trovo sbagliato colpire la ricchezza". Sulla stessa linea Maria Stella Gelmini: per l'ex ministro dell'Istruzione, l'operazione delle Fiamme Gialle fa passare "l'idea che la ricchezza sia male".

L'Agenzia veneta, invece, sottolinea che rientrava nella "normale attività di presidio del territorio di competenza dell'Agenzia delle entrate, svolta non solo in Veneto, ma su tutto il territorio nazionale 1". Oltretutto, malgrado il numero degli agenti impiegati, "l'esperienza e la professionalità dei funzionari dell'Agenzia è tale per cui il controllo è stato effettuato con il minimo intralcio allo svolgimento dell'attività commerciale, evidenziato anche dagli episodi nei quali i funzionari sono stati addirittura scambiati per commessi dalla clientela".

"I controlli e la lotta all'evasione sono sacrosanti - ribatte il sindaco di Cortina, Andrea Franceschi -, ma pensiamo ci voglia più rispetto per la gente che lavora e che dà lavoro. Non comprendiamo perché ci volessero 80 ispettori sul posto per scoprire che 133 auto di grossa cilindrata intestate a persone fisiche appartenevano a persone che dichiarano pochissimo. Sarebbe bastato un semplice controllo incrociato dei dati già in possesso dell'Agenzia, fatto direttamente dall'ufficio, senza mettere in scena uno spettacolo hollywoodiano che ha dato la sensazione di vivere in un vero e proprio stato di polizia".

Il regista Carlo Vanzina, romano con antiche frequentazioni cortinesi, fa un altro ragionamento: "Vedo tanta gente nuova, macchinoni, ristoranti di lusso pieni di gente che magari paga in contanti. Personaggi, diciamo, 'sospetti'; ben vengano i controlli. Io pago le tasse e se si colpisce l'evasione non posso che essere contento". Un grande evasore, aggiunge, sarà il protagonista del suo prossimo film.

Infine, in questo bailamme di finti poveri e veri ricchi, il parroco don Davide Fiocco prova a riportare Cortina lontano dagli estremi: "C'è un paese di montagna che fa i conti come tutti con le ristrettezze economiche e nel quale - dice il sacerdote - ogni tanto arrivano i vip".

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martedì 3 gennaio 2012

Gli stipendi record del Parlamento Stangata in arrivo per gli onorevoli

Ecco i risultati della Commissione Giovannini. In Italia indennità superiore, ma Francia e Germania pagano di più per i portaborse. Che però da noi non vanno giustificati. L'organismo guidato dal presidente dell'Istat ha consegnato il rapporto elaborato su incarico del governo 

 L'INDENNITÀ mensile (lorda) è la più alta d'Europa. Ma il "costo complessivo" del parlamentare in altri paesi, quali Francia e Germania, è ben superiore. Difficile, dunque, anzi "impossibile" decidere chi guadagna di più e chi meno. E soprattutto "fare una media".

La Commissione per il livellamento retributivo, guidata dal presidente Istat Enrico Giovannini, rinuncia però a quell'obiettivo. L'organismo (composto anche da quattro accademici) incaricato dal governo Berlusconi  - confermato da Monti - e dalle presidenze di Camera e Senato di confrontare i compensi tra le cariche elettive e gli organi istituzionali di sei paesi Ue, pubblica dunque i risultati della sua attesa comparazione.

La relazione, nelle 37 pagine depositate il 31 dicembre, si limita a fotografare la "giungla" retributiva dei parlamentari nei sette paesi presi in esame: Italia, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Austria e Belgio. Giovannini ha chiesto però una proroga al 31 marzo per completare il lavoro su organi costituzionali e enti pubblici.

"Nonostante l'impegno profuso - si legge nelle conclusioni - la commissione non è in condizione di effettuare il calcolo delle medie". Provvederanno Camera e Senato. Fini e Schifani infatti interverranno entro gennaio. Non sull'indennità, ma sul rimborso per il portaborse. E stop ai voli gratis illimitati. 

INDENNITÀ
Supera gli 11mila euro, a Berlino e Parigi 7mila

In nessun paese europeo un parlamentare percepisce un'indennità lorda mensile pari a quella del deputato (11.283 euro) e del senatore (11.550 euro) italiano. E quella costituisce solo una delle cinque voci che - si legge nella relazione - compongono il "costo" del parlamentare (diaria, spese di viaggio e trasporto, spese di segreteria, spese per assistenza sanitaria, assegno vitalizio e di fine mandato).

Nel caso della Spagna, l'indennità in senso stretto (2.813 euro) è addirittura quasi quattro volte inferiore. Si avvicinano solo i Paesi Bassi con 8.503 euro. Tra i grandi paesi, Francia e Germania viaggiano tra i 7.100 e i 7.668. Ma si parla di lordo. E in Italia dopo le ultime (ripetute) decurtazioni, l'indennità netta è di poco superiore ai 5.000 euro.

In ogni caso, fanno notare i professori della commissione, è difficile fare dei confronti perché diverso è anche il livello di tassazione tra paese e paese (per esempio in Francia tocca il 20 per cento sui 7.100 euro lordi). Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ieri dettava la sua ricetta: "Ai parlamentari darei la stessa cifra che guadagno da sindaco di una grande città: 4.200 euro al mese".

DIARIA
3500 euro per spese di soggiorno, solo in Germania si spende di più
La diaria mensile o "indennità di residenza" non costituisce una prerogativa italiana. Per di più, il budget assegnato al deputato e al senatore per le spese di mantenimento fuori sede non costituisce un record continentale. A ricevere una cifra forfettaria più alta per le spese di soggiorno a Berlino è per esempio il parlamentare tedesco: 3.984 euro. Ma il collega italiano con 3.503 euro segue a ruota.

Da qualche mese, alla Camera e al Senato questa ricca indennità accessoria (che non fa differenza tra chi soggiorna a Roma per l'attività parlamentare e chi vive e risiede comunque nella capitale) viene decurtata in proporzione alle assenze: non solo quelle nelle sedute d'aula, ma anche nelle sedute di commissione. Ed è il motivo delle recenti polemiche esplose per i frequenti casi di deputati presenti solo per firmare il registro e poi dileguarsi.

In Francia il deputato non percepisce affatto la diaria, ma gode di alloggi a tariffe agevolate in residence di proprietà dell'Assemblea. A Madrid sì, ma ammonta a 1.800 euro, mille in meno poi se il deputato è eletto nella capitale. Trattamento simile nei Paesi Bassi, non prevista in Belgio. 

PORTABORSE
4000 euro: meno che in altri Paesi, ma da noi non va giustificata
La commissione Giovannini le chiama "spese di segreteria e di rappresentanza". E accorpa sotto questa unica voce il budget messo a disposizione da Camera e Senato per i parlamentari al fine di consentire a deputati e senatori di avvalersi di collaboratori e di segreterie nei territori di origine e a Roma.

Ma il confronto con gli altri cinque paesi messo nero su bianco dalla commissione Giovannini finisce per conclamare l'anomalia tutta italiana. L'anomalia consiste in questo caso non nell'importo - inferiore e in qualche caso di molto rispetto ad altri paesi quali Francia e Germania - ma nella modalità: forfettaria. Vale a dire che il deputato (3.690 euro) e il senatore (4.180) ricevono la somma senza aver alcun obbligo di rendicontazione e senza dover dimostrare se hanno pagato regolarmente un collaboratore.

L'Europarlamento da sempre gestisce il budget assegnando al deputato il collaboratore richiesto, ma pagandolo direttamente. Avviene così anche in Germania (dove il fondo per la segreteria lievita a 14.712 euro) e in Belgio, si legge nella relazione. In Francia, se il deputato non utilizza la linea di credito da 9.138 euro in tutto o in parte, viene restituita.

BENEFIT
Treni, aerei, navi e autostrade solo a Roma non si pagano
Il monte benefit è la vera "babele" che fa del parlamentare - quello italiano soprattutto - un privilegiato. La relazione Giovannini lo certifica. La "libera circolazione ferroviaria, autostradale, marittima e aerea" consentita dall'apposita tessera di cui viene dotato il deputato e il senatore appena mette piede a Montecitorio e Palazzo Madama, non ha corrispettivi.

In Francia, i deputati dispongono di una carta ferroviaria, più 40 viaggi aerei tra il collegio e Parigi e 6 fuori dal collegio. In Germania, solo tessera ferroviaria e rimborso per i voli domestici con rimborso a piè di lista. In Spagna, è prevista una diaria da 150 euro per ogni giorno di viaggio all'estero e 120 per viaggio interno.

Nei Paesi bassi, treno di prima classe e rimborso chilometrico da 0,37 euro al km ma solo se non esistono mezzi pubblici che consentano al deputato di tornare a casa. Tutta un'altra storia. Il parlamentare italiano usufruisce anche di 258 euro mensili di rimborso per spese telefoniche (in Francia 416 euro, nei Paesi Bassi 33 euro appena) e di 41 euro per dotazione informatica. La Spagna però offre Ipad e telefoni portatili di servizio.

VITALIZI
Ue, tutti con le pensioni: ma in Italia c'è un superassegno
Fino al 31 dicembre, i parlamentari italiani usufruivano di vitalizio dopo almeno due legislature, al compimento del cinquantesimo anno. Resta ora come allora l'assegno di fine mandato, ma il vitalizo è stato sostituito dal primo gennaio da una pensione con metodo contributivo e solo al compimento dei 65 anni (60 con almeno due legislature).

In Italia, fa notare la relazione Giovannini, dopo 5 anni di mandato il vitalizo finora è stato pari a 2.486 euro mensili, con un versamento pari all'8,6 per cento dell'indennità lorda. In Francia, dopo cinque anni di mandato, il vitalizo minimo è pari a 780 euro a fronte di un versamento del 10,5 per cento dell'indennità legislativa, se ne ha diritto a 60 anni. In Germania, l'età alla quale il deputato matura la pensione è stata innalzata gradualmente dai 65 ai 67 anni.

In Spagna la pensione è un beneficio di carattere integrativo ed è pari alla differenza tra la pensione che il deputato riesce a maturare nella vita lavorativa e la pensione massima raggiungibile in quel paese. Integrazione che può essere richiesta se il mandato è stato almeno di 11 anni. 

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Il piccolo miracolo tedesco

In Germania nel 2011 l'occupazione è salita a livelli record (avete letto bene)

 

Durante il suo discorso alla nazione di fine anno trasmesso sabato scorso, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha rassicurato i propri connazionali: «La Germania se la sta cavando bene, anche se il prossimo anno sarà senza dubbio più difficoltoso di questo». La traballante economia europea infatti preoccupa il governo tedesco e gli analisti, anche se gli ultimi dati sull’occupazione nel paese diffusi ieri hanno lasciato un po’ di ottimismo.
Nel 2011 in Germania sono stati creati più di mezzo milione di posti di lavoro e si stima che le persone occupate, sempre lo scorso anno, fossero almeno 41 milioni sugli 82 milioni circa di abitanti del paese. L’aumento rispetto al 2010 è stato pari all’1,3 per cento: dai tempi della riunificazione non c’erano così tante persone con un lavoro in Germania. Il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 7 per cento, ai livelli più bassi degli ultimi vent’anni. Il buon andamento è stato reso possibile da una sensibile ripresa della crescita, messa a dura prova negli anni tra il 2009 e il 2010, da un aumento generalizzato dei consumi e dal mantenimento delle esportazioni.
I dati sono sicuramente positivi, ma analisti ed esperti suggeriscono di non eccedere con l’entusiasmo, come ben sanno gli esponenti della maggioranza che sostiene il governo Merkel. Mentre l’economia tedesca riusciva a riprendere un poco di fiato nell’ultimo anno, in molti paesi dell’eurozona le cose non sono andate altrettanto bene. Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia e Italia hanno avuto seri problemi per tenere sotto controllo il loro debito pubblico e l’Unione fatica ancora per trovare una efficace via d’uscita per la crisi. Gli effetti della recessione nei paesi più in difficoltà metteranno probabilmente a dura prova l’economia della Germania nel corso dell’anno appena iniziato.
Come spiegano sullo Spiegel, la Germania dovrà soprattutto darsi da fare con l’emissione e la vendita di nuovi titoli di Stato, per ottenere nuove risorse con cui finanziarie il proprio debito. Si stima che potrebbero essere necessari fino a 35 miliardi di euro di nuovo debito, circa il doppio rispetto al 2011. La situazione delle altre economie europee potrebbe incidere anche sull’andamento dell’occupazione, portando a dati sul lavoro meno positivi rispetto a quelli da poco comunicati dalla società di rilevazioni statistiche tedesca. Insomma, la situazione è quella che è, in alcuni settori la crisi si sente molto, lo stesso governo Merkel perde consensi: le cose non vanno benissimo, di certo possono andare molto peggio di così. A maggior ragione, quindi, i dati sull’occupazione nel 2011, ottenuti mentre il resto d’Europa è in agonia – in Spagna il tasso di disoccupazione è da mesi oltre il 20 per cento – sono degni di nota.

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lunedì 2 gennaio 2012

Verso il confine con la Svizzera, dove si va a fare benzina


Grillo: “Prima di condannare gli attentati contro Equitalia, bisogna capirne le ragioni”

Per il fondatore del Movimento Cinque Stelle "un avviso di pagamento oggi è diventato il terrore di ogni italiano". Debora Serracchiani valuta "estremamente pericoloso associare le violenze a un giudizio di disumanità nei confronti del sistema esattoriale", mentre per Rotondi la riflessione del comico "non è peregrina"
 Beppe Grillo non si unisce al coro di condanne agli attentati che si stanno susseguendo alle sedi di Equitalia e attacca: “Se Equitalia è diventata un bersaglio bisognerebbe capirne le ragioni oltre che condannare le violenze”. L’invito, decisamente poco politicamente corretto, arriva dal blog del comico ligure dove ironizza sul susseguirsi di attentati contro gli uffici di Equitalia osservando che “si può dire tranquillamente che stiano per sostituire i tradizionali botti di San Silvestro, con la differenza però che durano tutto l’anno”. Il fatto è, prosegue Grillo, che “un avviso di pagamento di Equitalia è diventato il terrore di ogni italiano. Se non paga l’ingiunzione ‘entro e non oltre’ non sa più cosa può succedergli. Non c’è umanità in tutto questo e neppure buon senso”. Il finale è un appello a Palazzo Chigi: “Monti riveda immediatamente il funzionamento di Equitalia, se non ci riesce la chiuda. Nessuno ne sentirà la mancanza”.

La prima a commentare le parole di Grillo è l’europarlamentare Debora Serracchiani (Pd) “è estremamente pericoloso associare gli attentati alle sedi di Equitalia a un giudizio di disumanità nei confronti del sistema esattoriale. Fomentare i sentimenti più torbidi e potenzialmente violenti per fare consenso è una tattica già sperimentata dalla Lega, ed evidentemente piace anche a Beppe Grillo. E’ un peccato, anche perchè l’ex comico si poteva ritagliare un ruolo più propositivo di quanto non sia – conclude – cavalcare banalmente il malcontento”. E sull’argomento s’è espresso anche il presidente di Equitalia, Attilio Befera: “Spero che i cittadini italiani, che sempre nei momenti di emergenza sono stati solidali e coesi, capiscano che è importante pagare le imposte e che gli imbecilli che mettono le bombe la smettano. Colpire i funzionari non ha senso logico”. E sulle dichiarazioni di Grillo ha dichiarato: “In un momento di difficoltà bisognerebbe avere tutti il massimo senso di responsabilità e occorrerebbe difendere gli uomini che fanno il loro dovere al servizio della collettività. Questa volta la battuta non fa ridere nessuno”. D’accordo con Grillo, invece, sembra essere Gianfranco Rotondi, membro dell’Ufficio politico del Pdl: “”Non sarà un comico, in questo caso Grillo, a darci la linea ma l’interrogativo che pone non è peregrino”.

Intanto proseguono le indagini della Digos della polizia di Foggia sull’ordigno fatto esplodere la notte del 31 dicembre davanti alla sede di Equitalia di via Portogallo. Uno o due “cipollone” forse anche da due chili che hanno provocato ingenti danni e la cui esplosione poteva avere conseguenze più gravi visto che una delle serrande degli uffici foggiani è stata scaraventata a una decina di metri di distanza. Al momento non c’è stata alcuna rivendicazione.

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News Aumenta la benzina? Ecco come risparmiare

Nuovi aumenti per i prezzi dei carburanti. Con l’inizio del 2012 sono scattate le addizionali regionali in sei regioni (Piemonte, Toscana, Lazio, Liguria, Marche e Umbria) e il costo della benzina è salito fino a raggiungere quasi quota 1,8 euro al litro. Secondo quotidianoenergia.it le “pompe bianche” invece praticano prezzi inferiori, dall’1,640 euro/litro per la benzina al 1,599 euro/litro per il diesel. Clicca e scopri dove sono le stazioni di servizio indipendenti che generalmente praticano prezzi più bassi rispetto alle compagnie più note.

Secondo quotidianoenergia.it  il prezzo medio praticato dalla benzina, prendendo in esame la modalità servito e non self-service, oscilla tra l’ 1,729 euro/litro della Shell all'1,738 euro/litro di IP. Sostanzialmente fermi i prezzi del diesel, dal momento che le addizionali che sono scattate riguardano la sola benzina. Per il diesel i prezzi variano dall’1,699 euro al litro di Eni all’1,702 di Tamoil.
Come risparmiare? Un modo potrebbe essere ricorrere alle pompe no-logo. Clicca sulla mappa per vedere dove si trovano i distributori di benzina nella mappa di pompebianche.it. Come si legge sul sito, «le pompe bianche sono stazioni di servizio indipendenti e non fanno parte del circuito delle compagnie di distribuzione di carburante più note». Cliccando, potrai vedere tutti i distributori in Italia, geolocalizzati su una mappa di Google Maps.


Qui sotto invece, l’elenco delle pompe bianche stilato da Federconsumatori, che raccoglie i distributori indipendenti in un elenco aggiornato al dicembre 2011.
 
 
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