Pd, Pdl e Udc d'accordo sulla mozione d'indirizzo, seppur con paletti.
Contrari Lega e Italia dei Valori ("Tentativo di boicottare la volontà
dei cittadini"). Il governo auspica la comunione d'intenti, ma si tira
fuori dal dibattito. Monti da Fazio: "La decisione spetta al Parlamento"
Il verdetto arriverà non prima di mercoledì prossimo, ma a giudicare dai
toni del dibattito politico e dalle strategie messe in campo dai
partiti il risultato sembrerebbe segnato. Il rischio che la Corte Costituzionale
emetta una sentenza contraria all’ammissibilità del referendum per
l’abrogazione della legge elettorale è più che fondato. Lo dicono i
pronostici di alcuni parlamentari di peso all’interno degli
schieramenti, lo confermano i retroscena pubblicati negli ultimi giorni
sui maggiori quotidiani italiani. In tal senso, a poco è servita la
smentita ufficiale di chi dovrà prendere la decisione tanto attesa. Venerdì
scorso, infatti, la Consulta aveva diramato una nota ufficiale in cui
bollava come “fantasiose illazioni” le ricostruzione di Corriere e Repubblica,
che anticipavano – con tanti di numeri e scenari a corredo – lo stop ai
quesiti referendari da parte della massima Corte, la quale al contempo
potrebberilevare alcuni profili di incostituzionalità del Porcellum.
Se così fosse, quindi, la palla passerebbe direttamente ai partiti.
Questi ultimi, al di là delle dichiarazioni di facciata, accetterebbero
di buon grado il niet dei giudici costituzionali al referendum. Il
motivo? Sarebbero ‘salvi’ e avrebbero il tempo di mettere a punto un
progetto di riforma elettorale condivisa più o meno da tutti.
Nell’emiciclo parlamentare, del resto, nessuno mette in dubbio né la
necessità di cambiare l’attuale sistema elettorale, né il modus
operandi, ovvero una mozione bipartisan. Il vero problema, però, sono i contenuti. Ed ecco tornare divisioni, spaccature vere e proprie e sospetti di inciucio.
Su quest’ultimo punto arrivano le barricate dell’Italia dei Valori,
che difende a spada tratta i referendum e usa parole incendiarie per
definire i movimenti degli ultimi giorni tra i partiti. Per Di Pietro e
soci, infatti, il dialogo avviato nella attuale maggioranza, dal Pdl al
Pd passando per l’Udc, è soltanto un tentativo di “boicottare” la
volontà dei cittadini (che da par loro sono già passati al contrattacco).
“Pd, Pdl e Udc auspicano più o meno apertamente la bocciatura per
tenersi stretto il Porcellum e magari accordarsi su una nuova legge
anche peggiore di quella attuale” ha detto il capogruppo Idv al Senato, Felice Belisario,
secondo cui “da Quagliariello a Follini si leva un coro bipartisan di
uccelli del malaugurio che rafforzano le voci su inaccettabili pressioni
verso la Consulta, attuando così un golpe”. Il riferimento
dell’esponente dipietrista va a quanto dichiarato da Marco Follini (Pd) e Gaetano Quagliariello
(Pdl): per loro la Consulta non ammetterà i quesiti. “Un pronostico a
naso” hanno testualmente specificato i due, per una comunione d’intenti
anche linguistica.
Diversa la posizione della Lega Nord, il cui vero
timore è quello di cadere in un ‘tranello elettorale’ ordito da Pd, Pdl e
Terzo Polo per mettere fuori gioco il Carroccio. Pur scongiurare
trappole e isolamento, il partito di Bossi ha messo a lavoro due pezzi
da novanta: il padre del porcellum Roberto Calderoli e l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni,
che a dicembre – sentendo puzza di bruciato – ha avvisato i
“quasi-alleati’ del Pdl: “Con una nuova legge penalizzante per il
Carroccio, finirebbero per sempre le alleanze al nord”.
Le mosse di Idv e Lega, tuttavia, apparentemente non influiscono sul
piano di Pd, Pdl e Udc. L’obiettivo sarebbe quello di trovare una
intesa, magari per mettere a punto una “mozione di indirizzo” che
impegni il Parlamento ad intervenire in materia. Tale ipotesi – ormai un
mantra dell’attuale legislatura – è stata rinvigorita dalle parole del
vicepresidente del Senato, Vannino Chiti (Pd). “In
Parlamento – ha spiegato l’esponente democratico – deve iniziare subito
un confronto sulla riforma delle istituzioni e per una nuova legge
elettorale. E’ questo il compito delle forze politiche nella fase finale
della legislatura. Ne ha bisogno l’Italia perché senza una democrazia
funzionante non si vincono le sfide che abbiamo di fronte”. Immediata la
benedizione degli alleati. Per Quagliariello (Pdl), “i partiti non
possono più aspettare: devono riprendere l’iniziativa politica dopo aver
subito l’avvento del governo tecnico”. Per Giampiero D’Alia (Udc)
il momento è propizio “perché le Camere avrebbero tutta la libertà e
l’autonomia per affrontare finalmente questi temi”. Dalle parole ai
fatti il passo è breve: i tecnici dei partiti sarebbero già a lavoro, ma
prima della decisione della Consulta difficilmente qualcuno uscirà allo
scoperto. In merito al verdetto, però, in pochi hanno dubbi. E’ parere
condiviso, infatti, che con il sì ai referendum si creerebbe una
notevole fibrillazione tra i partiti, evenienza da scongiurare in un
periodo di crisi come questo.
Il problema, comunque, rimarrebbe: il porcellum va riformato in ogni
caso, a prescindere da ciò che deciderà la Corte Costituzionale. Come?
Con il confronto, a cui apre anche il referendario Arturo Parisi (Pd).
Che però avverte: “Non vorrei che un’iniziativa legislativa in questo
senso servisse solo per anestetizzare preventivamente i cittadini dal
doloroso colpo che arrecherebbe la sentenza di bocciatura del Referendum
da troppi e da troppo tempo annunciata. Se così fosse – è il parere di
Parisi – i partiti tornerebbero prigionieri dei propri contrasti e non
cambierebbe più nulla”.
Sul tema del dialogo, l’Udc non ha dubbi: adesione “senza pregiudiziali” affinché – per dirla con il segretario Lorenzo Cesa
– “parta subito il confronto tra i partiti su riforme e legge
elettorale”. La strada di impegnare Camera e Senato, quindi, sembra
convincere tutti, tranne Idv e Lega, con quest’ultima che vede
nell’iniziativa una “inutile perdita di tempo”. Insomma, il punto di
arrivo parrebbe segnato. Molto più difficile, invece, trovare un accordo
sulla strada da compiere per raggiungere l’obiettivo: tutti i partiti
hanno una loro proposta, spesso inconciliabile con quelle dei ‘compagni
di viaggio’. Tra paletti e distinguo, l’iter è tutto in salita.
Nel Pdl, ad esempio, c’è chi pone condizioni ben precise: oltre alla
legge elettorale, va modificato anche il sistema istituzionale.
Tradotto: si invoca il ritorno del “piano Berlusconi”, ovvero un
pacchetto di riforme istituzionali (e costituzionali) che intervengano
sull’architettura dello Stato. Illuminanti le parole di Osvaldo Napoli,
secondo cui la modifica del porcellum “non è sufficiente da sola a
restituire autorevolezza alla politica, perché occorre conferire al
premier i poteri propri degli altri primi ministri nelle grandi
democrazie”. All’ipotesi di riforme più ampie apre anche l’Udc, in linea
con i recenti appelli del Presidente della Repubblica,
che ha chiesto ai partiti di avere “più apertura e contatti” al fine di
arrivare “a risultati in materia di riforme istituzionali ed anche
qualcuna con implicazioni costituzionale”.
Il quadro, quindi, è tutto in divenire. L’unico a non prendere posizione
è il governo. Per evidenti ragioni di opportunità e correttezza
istituzionale. Monti, tuttavia, non ha mai nascosto
l’auspicio che una modifica delle legge possa consentire una minore
conflittualità tra i partiti. “Non tocca al governo, dovranno occuparsene i partiti”: così il capo del governo ha risposto ad una domanda ad hoc di Fabio Fazio durante la puntata odierna di “Che tempo che fa”.
Il conto alla rovescia è partito: mercoledì la Consulta potrebbe
rendere nota la decisione sull’ammissibilità dei quesiti referendari, ma
intanto la politica è già a lavoro. Il risultato è scontato: sarà
riforma condivisa, a meno di sorprese inaspettate da parte dei giudici
costituzionali.
Fonte Articolo
Nessun commento:
Posta un commento