La maggioranza non c’è più. Alla Camera, sul rendiconto generale dello
Stato, si ferma a 308. «Otto traditori», commenta il Cavaliere. La Lega
lo spinge al passo indietro, indicandogli Alfano (e bocciando Letta),
però lui non vuole saperne. Difficile l’ipotesi governo tecnico senza un
suo ok, anche se il nome più accreditato sarebbe Giuliano Amato e non
Monti.
«Evidentemente doveva andare così». La deputata
berlusconiana Nunzia De Girolamo esce dall’Aula di Montecitorio ridendo
nervosamente. Raggiunge i colleghi già in Transatlantico e si lascia
andare al fatalismo. La batosta si è appena consumata: il rendiconto
generale dello Stato ha superato l’esame del Parlamento. La maggioranza
fedele a Silvio Berlusconi no.
Nessuna sorpresa. Grazie alla presenza in aula delle
opposizioni i deputati licenziano il provvedimento economico. Ma i
numeri del governo certificano che il presidente del Consiglio non ha
più l’appoggio di una delle due Camere. ll 14 ottobre, durante l’ultima
fiducia, si erano schierati con l’Esecutivo in 316. La metà più uno
degli eletti. Stavolta il conto si ferma a 308. «È andata peggio delle
previsioni più nere» ammette un berlusconiano pochi minuti dopo il voto.
Adesso al Colle. Preso atto della sconfitta, il
presidente del Consiglio incontrerà il capo dello Stato Giorgio
Napolitano stasera alle 18.45. Un colloquio dovuto. Non necessariamente
l’anticamera delle dimissioni. Ma è chiaro che durante il faccia a
faccia al Quirinale i due vaglieranno anche questa eventualità. Una
settimana fa il presidente della Repubblica aveva ammonito il Cavaliere:
«Saranno i prossimi sviluppi dell’attività parlamentare a consentire di
valutare concretamente l’effettiva evoluzione del quadro
politico-istituzionale». Facile capire che dopo la débacle di oggi al
Colle stiano già pensando a un esecutivo tecnico. Ipotesi di difficile
realizzazione, specie se il Cavaliere continua a puntare i piedi. Eppure
al Quirinale avrebbero già individuato un nome: Giuliano Amato.
Preferito a Mario Monti per il suo profilo politico.
Intanto a Palazzo Chigi Berlusconi riunisce i suoi
per studiare la strategia. Un vertice con il segretario Pdl Angelino
Alfano, il sottosegretario GIanni Letta, il deputato-avvocato Niccolò
Ghedini. Ma anche i leghisti Roberto Maroni, Umberto Bossi e il ministro
dell’Economia Giulio Tremonti. Si discute della sconfitta, si
analizzano i voti. A Palazzo in molti sono convinti che il Cavaliere sia
deciso ad andare ancora avanti. Berlusconi potrebbe chiedere la fiducia
- stavolta al Senato, dove la maggioranza è più solida - sulla lettera
che l’Esecutivo ha presentato all’Ue. E dimettersi solo dopo questo
ulteriore passaggio parlamentare. Senza essere stato formalmente
sfiduciato dalle Camera. Abbastanza per poter concertare con il Colle la
fase politica successiva. Indicando il nome del nuovo premier. «Per ora
non si dimette - spiega un fedelissimo alla buvette - Chiederà la
fiducia. Se ce l’ha bene, sennò…».
Ma nessuno avanza certezze. Le voci che arrivano
dalla sede del Governo raccontano di un forte pressing di Umberto Bossi e
del ministro dell’Economia Giulio Tremonti per convincere Berlusconi a
rassegnare le dimissioni. Il famoso «passo laterale» che già nel
pomeriggio il Senatur era tornato a chiedere al premier, avanzando
un’ipotesi per la successione: Alfano, preferito a Gianni Letta,
considerato troppo “romano”. Insomma, nonostante le resistenze del
Cavaliere le sue dimissioni restano un’eventualità. Il voto di oggi lo
avrebbe duramente colpito. Chi ha parlato con lui racconta la sorpresa e
il disappunto nei confronti dei deputati che hanno abbandonato la
maggioranza. «Mi hanno tradito, ma questi dove vogliono andare?» avrebbe
confidato il premier ad alcuni ministri al termine del voto. E lo
scoramento di Berlusconi viene immortalato da un fotografo, su un
biglietto che scrive durante la votazione. «308, meno otto traditori.
Prendo atto. Presidente della Repubblica». Poi la fatidica parola:
«Dimissioni».
In Transatlantico la notizia si diffonde
incontrollata. Qualcuno riporta un presunto sfogo del Cavaliere. Prima
di lasciare Montecitorio avrebbe detto: «Mi vogliono mandare a casa?
Bene. Adesso facciamo governare gli altri, la sinistra. Lasciamo a loro
la patata bollente del default». Un suo deputato non apprezza. «Spero
che queste indiscrezioni siano false. Anche perché qui nessuno sembra
rendersi conto che a rischiare è il Paese. Dopo il default non c’è più
niente».
Sui divanetti in molti continuano a studiare i
numeri della sconfitta. Da una parte i 308 rimasti fedeli al Cavaliere.
Dall’altra 321 astenuti. Ma non tutti nella (ormai ex) maggioranza
digeriscono il tracollo. «In ogni caso - racconta un fedelissimo
berlusconiano - lo smottamento del partito non c’è stato. Il Pdl è
ancora una realtà centrale in Parlamento. Chi vuole fare un governo
tecnico non può avere la maggioranza». «Onestamente mi aspettavo un po
più di voti» si limita a commentare il responsabile Francesco Pionati.
Il ministro Renato Brunetta
rincara: «La Costituzione non richiede al governo di avere la
maggioranza assoluta: per governare basta quella semplice». I
giornalisti tedeschi, oggi presenti in gran numero alla Camera,
registrano stupefatti sui loro taccuini.
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