martedì 8 novembre 2011

Berlusconi al Quirinale, ma a lasciare non ci pensa

La maggioranza non c’è più. Alla Camera, sul rendiconto generale dello Stato, si ferma a 308. «Otto traditori», commenta il Cavaliere. La Lega lo spinge al passo indietro, indicandogli Alfano (e bocciando Letta), però lui non vuole saperne. Difficile l’ipotesi governo tecnico senza un suo ok, anche se il nome più accreditato sarebbe Giuliano Amato e non Monti.


«Evidentemente doveva andare così». La deputata berlusconiana Nunzia De Girolamo esce dall’Aula di Montecitorio ridendo nervosamente. Raggiunge i colleghi già in Transatlantico e si lascia andare al fatalismo. La batosta si è appena consumata: il rendiconto generale dello Stato ha superato l’esame del Parlamento. La maggioranza fedele a Silvio Berlusconi no.
Nessuna sorpresa. Grazie alla presenza in aula delle opposizioni i deputati licenziano il provvedimento economico. Ma i numeri del governo certificano che il presidente del Consiglio non ha più l’appoggio di una delle due Camere. ll 14 ottobre, durante l’ultima fiducia, si erano schierati con l’Esecutivo in 316. La metà più uno degli eletti. Stavolta il conto si ferma a 308. «È andata peggio delle previsioni più nere» ammette un berlusconiano pochi minuti dopo il voto.
Adesso al Colle. Preso atto della sconfitta, il presidente del Consiglio incontrerà il capo dello Stato Giorgio Napolitano stasera alle 18.45. Un colloquio dovuto. Non necessariamente l’anticamera delle dimissioni. Ma è chiaro che durante il faccia a faccia al Quirinale i due vaglieranno anche questa eventualità. Una settimana fa il presidente della Repubblica aveva ammonito il Cavaliere: «Saranno i prossimi sviluppi dell’attività parlamentare a consentire di valutare concretamente l’effettiva evoluzione del quadro politico-istituzionale». Facile capire che dopo la débacle di oggi al Colle stiano già pensando a un esecutivo tecnico. Ipotesi di difficile realizzazione, specie se il Cavaliere continua a puntare i piedi. Eppure al Quirinale avrebbero già individuato un nome: Giuliano Amato. Preferito a Mario Monti per il suo profilo politico.
Intanto a Palazzo Chigi Berlusconi riunisce i suoi per studiare la strategia. Un vertice con il segretario Pdl Angelino Alfano, il sottosegretario GIanni Letta, il deputato-avvocato Niccolò Ghedini. Ma anche i leghisti Roberto Maroni, Umberto Bossi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Si discute della sconfitta, si analizzano i voti. A Palazzo in molti sono convinti che il Cavaliere sia deciso ad andare ancora avanti. Berlusconi potrebbe chiedere la fiducia - stavolta al Senato, dove la maggioranza è più solida - sulla lettera che l’Esecutivo ha presentato all’Ue. E dimettersi solo dopo questo ulteriore passaggio parlamentare. Senza essere stato formalmente sfiduciato dalle Camera. Abbastanza per poter concertare con il Colle la fase politica successiva. Indicando il nome del nuovo premier. «Per ora non si dimette - spiega un fedelissimo alla buvette - Chiederà la fiducia. Se ce l’ha bene, sennò…».
Ma nessuno avanza certezze. Le voci che arrivano dalla sede del Governo raccontano di un forte pressing di Umberto Bossi e del ministro dell’Economia Giulio Tremonti per convincere Berlusconi a rassegnare le dimissioni. Il famoso «passo laterale» che già nel pomeriggio il Senatur era tornato a chiedere al premier, avanzando un’ipotesi per la  successione: Alfano, preferito a Gianni Letta, considerato troppo “romano”. Insomma, nonostante le resistenze del Cavaliere le sue dimissioni restano un’eventualità. Il voto di oggi lo avrebbe duramente colpito. Chi ha parlato con lui racconta la sorpresa e il disappunto nei confronti dei deputati che hanno abbandonato la maggioranza. «Mi hanno tradito, ma questi dove vogliono andare?» avrebbe confidato il premier ad alcuni ministri al termine del voto. E lo scoramento di Berlusconi viene immortalato da un fotografo, su un biglietto che scrive durante la votazione. «308, meno otto traditori. Prendo atto. Presidente della Repubblica». Poi la fatidica parola: «Dimissioni».
In Transatlantico la notizia si diffonde incontrollata. Qualcuno riporta  un presunto sfogo del Cavaliere. Prima di lasciare Montecitorio avrebbe detto: «Mi vogliono mandare a casa? Bene. Adesso facciamo governare gli altri, la sinistra. Lasciamo a loro la patata bollente del default». Un suo deputato non apprezza. «Spero che queste indiscrezioni siano false. Anche perché qui nessuno sembra rendersi conto che a rischiare è il Paese. Dopo il default non c’è più niente».
Sui divanetti in molti continuano a studiare i numeri della sconfitta. Da una parte i 308 rimasti fedeli al Cavaliere. Dall’altra 321 astenuti. Ma non tutti nella (ormai ex) maggioranza digeriscono il tracollo. «In ogni caso - racconta un fedelissimo berlusconiano - lo smottamento del partito non c’è stato. Il Pdl è ancora una realtà centrale in Parlamento. Chi vuole fare un governo tecnico non può avere la maggioranza». «Onestamente mi aspettavo un po più di voti» si limita a commentare il responsabile Francesco Pionati. Il ministro Renato Brunetta rincara:  «La Costituzione non richiede al governo di avere la maggioranza assoluta: per governare basta quella semplice». I giornalisti tedeschi, oggi presenti in gran numero alla Camera, registrano stupefatti sui loro taccuini. 

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