mercoledì 29 giugno 2011

Si rischia una guerra nel sud est asiatico?

Il think tank australiano Lowy Institute ha pubblicato un rapporto in cui prospetta il rischio di una guerra nel sudest asiatico. Le sempre più frequenti dispute sul Mar Cinese Meridionale, spiega, potrebbero innescare in un futuro non troppo lontano un conflitto che chiamerebbe in campo Cina e Stati Uniti.
Il rapporto si apre con un’analisi della situazione attuale. «La regione è sempre più contesa e vulnerabile rispetto a possibili scontri militari. Le difese navali e aeree dei rispettivi paesi si stanno rafforzando e i contrasti della Cina con Giappone, Stati Uniti e Filippine si intensificheranno sempre di più. Più il numero delle dispute aumenta, più aumenta la possibilità che uno di questi scontri possa sfociare in una crisi diplomatica o addirittura in un conflitto armato».
La Cina è da tempo impegnata con diversi paesi asiatici in varie dispute sulle acque del Mar Cinese Meridionale, che oltre a essere una via di comunicazione strategicamente molto importante per le economie dei paesi che ci si affacciano, potrebbe contenere ricchi giacimenti di petrolio e gas. Filippine, Malesia, Brunei e Taiwan hanno tutti nel corso del tempo avanzato le proprie rivendicazioni. A inizio giugno Cina e Vietnam si sono scontrati proprio per una presunta violazione dei reciproci confini in quelle acque. Lo scorso marzo una disputa simile era avvenuta con le Filippine.
Il governo di Pechino finora ha sempre respinto la possibilità di coinvolgere gli Stati Uniti come mediatori della disputa territoriale, dicendo che preferisce risolvere le questioni separatamente con ogni Stato. Ma lunedì il senato americano ha approvato una risoluzione in cui condanna le ingerenze della Cina nei territori di Vietnam e Filippine. Il ministro degli esteri cinese, Hong Lei, ha risposto dicendo che la risoluzione «non cambierà niente» e che i paesi non direttamente coinvolti non dovrebbero interferire. Questa settimana Stati Uniti e Filippine hanno in programma l’avvio di una serie di esercitazioni militari vicino alle acque contese del Mar Cinese Meridionale.

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lunedì 27 giugno 2011

L’emergenza rifiuti a Milano


Le parole “emergenza rifiuti”, in Italia, evocano automaticamente il nome di una sola città: Napoli. C’è un’altra città italiana, però, che in un passato nemmeno troppo lontano ha affrontato – e risolto – un’emergenza rifiuti altrettanto grave e invasiva, seppur più breve. È Milano, ed era il novembre del 1995. La storia la racconta oggi sinteticamente Repubblica, ma è ampia e interessante.
Nel novembre del 1995 il sindaco di Milano era Marco Formentini, alla guida di una giunta monocolore leghista. All’epoca i rifiuti prodotti a Milano andavano a finire in una discarica di cui era proprietario Paolo Berlusconi, a Cerro Maggiore. I residenti del comune di Cerro però non volevano la discarica e così il sindaco, leghista, decise di chiuderla, da un giorno all’altro. Il presidente della regione Lombardia – che era già Roberto Formigoni – decise di annullare quella decisione e prorogare di 18 mesi l’apertura della discarica. Gli abitanti di Cerro protestarono, scesero in piazza e bloccarono del tutto l’impianto (che era comunque destinato a chiudere, con polemiche che si trascinavano da mesi sulla sua sostituzione).
Nel giro di poche settimane Milano si riempì di spazzatura: “ventimila tonnellate di sacchi neri ammassati nelle strade”, scrive oggi Rodolfo Sala, “la metà dei quali nel piazzale attiguo alla sede della municipalizzata dei rifiuti, proprio davanti all’ospedale San Raffaele”. Seppure con ritardo, la giunta di Milano e l’allora assessore Walter Ganapini – esperto di smaltimento dei rifiuti e uomo di sinistra, la cui nomina creò parecchi malumori – riuscirono a far partire la costruzione di nuovi impianti e individuare siti per nuove discariche. Rimanevano comunque da rimuovere le tonnellate di rifiuti in città. Era necessario che qualcuno desse una mano alla città. L’assessore Ganapini trovò la disponibilità di quello che allora era il presidente dell’Emilia Romagna. Pier Luigi Bersani. Le agenzie di stampa avrebbero diffuso dichiarazioni di questo tenore.
(Adnkronos) – Il sindaco di Milano, Marco Formentini, in una lettera ringrazia il presidente della Regione Emilia Romagna, Pierluigi Bersani, per la ”straordinaria dimostrazione di solidarietà” e ribadisce l’impegno dell’amministrazione meneghina ”per superare l’intollerabile situazione attuale che vede fluire il nostro carico inquinante, tramite il Po, verso l’Adriatico”. La giunta di Milano, scrive Formentini, ha avviato la realizzazione delle opere di adduzione che consentiranno, ”entro la primavera”, di cominciare a costruire un primo depuratore (capacita’ di quattro metri cubi al secondo, sui nove metri cubi al secondo di reflui della zona meridionale della città).
Le polemiche non finirono lì e ci vollero dei mesi perché a Milano le operazioni di smaltimento dei rifiuti tornassero ad avere una loro normale regolarità. L’emergenza però era stata risolta. Formentini perse le successive elezioni, bocciato al primo turno. Walter Ganapini andò a occuparsi dei rifiuti a Napoli, con esiti peggiori di quelli che ottenne a Milano.
Ieri Pier Luigi Bersani, rispondendo alle dichiarazioni di Bossi sull’ipotesi di portare in Lombardia parte dei rifiuti campani, ha ricordato quanto accaduto in quei mesi del 1995.
«Bossi dovrebbe ricordare che era un suo sindaco quello che ricoprì Milano di rifiuti e fui io a portarli via»

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Val di Susa, scattato l'allarme ore decisive per i no-tav


CHIOMONTE (Val di Susa) - E' partito alle 6 il blitz delle forze dell'ordine a Chiomonte: gli agenti si stanno posizionando su tutti gli accessi. Alcune decine di uomini sono scesi dall'autostrada in direzione Bardonecchia attraverso una stradello di servizio. Dall'altra parte un mezzo cingolato con tenaglia davanti sta prendendo le misure per tagliare la barriera in plexiglass che separa l'autostrada dal luogo in cui si sono radunati alcune centinaia di No Tav. Dall'altro lato, sulla strada comunale dell'Avana, dove i No Tav sono posizionati con una barricata all'altezza della centrale elettrica sono stati avvistati mezzi dei vigili del fuoco e draghe. Intanto una ruspa sta cercando di aprire un varco nella barricata della Maddalena. Inizia così la giornata più lunga dei manifestanti della Val di Susa che da ore, per tutta la notte hanno aspettato asserragliati nel fortino: un migliaio dei 5 mila che hanno partecipato alla fiaccolata e che ha scelto di passare la notte al presidio.

Alle 4.40 è stata chiusa l'autostrada. Poco dopo i No Tav hanno sparato in aria i fuochi d'artificio per lanciare l'allarme. Due i fronti di attacco. L'autostrada A32 dove i mezzi sono arrivati sia da Torino che da Bardonecchia dove ci sono decine di mezzi della polizia che dovrebbero scortare gli operai che devono aprire il cantiere. Ad aspettarli, di fianco alle barriere di plexiglass, teatro della sassaiola del 23 maggio scorso, alcune centinaia di manifestanti pronti a bloccare le forze dell'ordine. E la centrale elettrica, all'inizio della strada
della Avanà, dove si trova la prima barricata e dove si sono radunati soprattutto esponenti dei centri sociali e dell'area anarco insurrezionalista. Altri No Tav sono sparpagliati nei boschi e ai vari possibili accessi all'area del futuro cantiere che deve aprire entro il 30 giugno per non perdere i finanziamenti dell'Unione europea.

Numerosi sindaci della valle contrari al supertreno hanno passato la notte riuniti in un'unità crisi a Bussoleno a una ventina di chilometri dal presidio, in costante contatto con un'"antenna" attiva a Chiomonte. Dopo un vertice all'1.30, al presidio, a cui ha partecipato una quindicina di amministratori delle liste civiche contrarie alla Torino-Lione, per tutta la notte si sono alternati amministratori e legali per garantire consulenza e supporto ai manifestanti in caso di scontri. Si sono divisi in gruppi e hanno presidiato tutte le barricate.

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giovedì 23 giugno 2011

Il tema di attualità



L’infinito mistero di Emanuela Orlandi

Periodicamente tornano le segnalazioni su Emanuela Orlandi, quindicenne figlia di un prefetto vaticano, che scomparve a Roma il 22 giugno 1983. Da allora di lei non si sa più nulla. Nulla di concreto, per lo meno. Perché, appunto, periodicamente arriva una segnalazione, un’indicazione, una nuova pista. Pochi giorni fa un uomo, che si è definito ex agente dei servizi segreti con nome in codice Lupo, ha telefonato a una Tv romana, Roma Uno, dicendo di sapere che Emanuela è viva: «Si trova in una clinica psichiatrica di Londra», ha detto l’uomo al telefono. «È lì con due medici e quattro infermiere».
Ma perché Emanuela dovrebbe essere a Londra, in un manicomio? E chi l’avrebbe portata lì? Negli anni la sua presenza è stata segnalata in Turchia e in Germania. Nel 1983, una anno dopo la scomparsa, una donna disse di averla vista scendere da una A112 a Merano, intorpidita, «sembrava sedata», spiegò. Con tutto l’ottimismo del mondo è difficile pensare che Emanuela Orlandi sia viva. Forse la certezza sul suo destino non si avrà mai. Forse davvero divenne pedina di scambio da parte dei servizi segreti bulgari che chiedevano la libertà di Alì Agca, l’attentatore del Papa. Ma in questo caso la domanda è: perché i servizi segreti di Sofia, probabili mandanti dell’attentato a Giovanni Paolo nel 13 maggio del 1981, volevano Agca libero? Volevano ucciderlo?
E se invece la storia fosse un’altra? Se a prendere Emanuela fossero stati gli uomini della banda della Magliana? Sabrina Minardi, ex fidanzata di uno dei capi della banda, Enrico De Pedis (tutti lo chiamavano Renatino), ha raccontato ai magistrati che fu il suo uomo, insieme ad altri del gruppo, a rapire la Orlandi. De Pedis era uno dei capi, crudeli e spietati, di quella implacabile macchina da soldi e terrore che comandò su Roma tra la fine degli anni settanta e i primi novanta, allungando la sua sfera di potere su tutta Italia. Non c’è mistero, trama, strage, intrigo italiano in cui non siano entrati in qualche modo uomini e personaggi della banda della Magliana. Come finì Emanuela Orlandi in questo ingranaggio? Secondo la Minardi, molti soldi della banda della banda confluivano in conti segreti dello Ior, la banca vaticana, allora gestita dal monsignore polacco Paul Casimir Marcinkus. Quei soldi a un certo punto sparirono, oppure furono bloccati. De Pedis allora decise di agire: rapì Emanuela Orlandi (sarebbe andata bene, a quanto pare, qualsiasi figlia di dipendente vaticano) per fare pressioni su Marcinkus. Se fosse vero il racconto della Minardi (e i magistrati le riconoscono una certa attendibilità) sarebbe purtroppo vera probabilmente anche la conclusione: Emanuela fu uccisa e gettata in una betoniera dalle parti di Torvaianica.
Questa storia si incrocia con tante altre storie: con quella di Roberto Calvi e del Banco Ambrosiano, con la P2 di Licio Gelli, con il terrorismo nero. I neri dei Nar (quelli di Fioravanti e Mambro) fornivano manovalanza alla banda, in cambio quelli della Magliana davano loro soldi e armi. Nel 1977, quando i carabinieri fecero irruzione in una base di terroristi neri a Roma che facevano capo a Pierluigi Concutelli, l’assassino del giudice Vittorio Occorsio, trovarono armi e soldi. E i soldi provenivano dal sequestro, avvenuto a Milano, della giovane Manuela Trapani. A rapire la Trapani era stato Renato Vallanzasca. Un rapimento che fece epoca, con annessa storia d’amore (è leggendaria la scena struggente del rilascio dopo il pagamento del riscatto quando “Manu”, così la chiamava lui, abbraccia Renato). Insomma, la storia Emanuela Orlandi naviga pienamente in quella zona grigia dove compaiono e scompaiono protagonisti, comprimari, verità e menzogne della storia dell’Italia contemporanea.
In quella zona grigia naviga anche un’altra storia, che sembra una leggenda ma che è invece vera, concreta. Quando Renatino De Pedis venne assassinato il 2 febbraio 1990 da altri membri della banda, fu sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare, a Roma, in pieno centro. Lì riposano solo vescovi, papi e benefattori della chiesa. Che ci sia sepolto anche un criminale, uno dei peggiori, fa piuttosto impressione. Eppure è così. Cosa ci fa de Pedis in quella chiesa? Probabilmente per essere sepolto con così tanto onore, Renatino donò a Sant’Apollinare un sacco di soldi. O forse il Vaticano non poté dire di no alla famiglia. Chissà.
E pensare che fino a non molto tempo fa di quella sepoltura sapevano davvero in pochi. E quei pochi non parlavano. Fu una telefonata anonima durante una puntata di “Chi l’ha visto?” nel 2005 a rompere un muro di silenzio che durava da 15 anni. Un uomo al telefono disse: «Se volete sapere che fine ha fatto Emanuela Orlandi andate a vedere dove è sepolto Renatino De Pedis». Da qualche mese i magistrati hanno deciso che la tomba di Renatino De Pedis deve essere riaperta. Non è ancora stato stabilita la data in cui si procederà all’operazione. O forse la data viene mantenuta segreta per evitare curiosità imbarazzanti. Porbabilmente in quella tomba però si troveranno solo i resti di un boss criminale. E nulla che possa far luce davvero sul mistero di Emanuela Orlandi.
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mercoledì 22 giugno 2011

La Waterloo della monnezza ma de Magistris: libererò Napoli

Mentre Napoli attende dai vertici politici in Regione una soluzione anche temporanea al dramma dei rifiuti, il neosindaco de Magistris ripete la sua sfida: "Napoli sarà liberata - dice - nonostante il tentativo di sabotaggio messo in atto in queste ore da certi ambienti refrattari ad accettare la svolta politica che stiamo attuando nella città". "Quando parlo di certi ambienti - dice il primo cittadino che si era impegnato a ripulire la città in cinque giorni - non escludo ovviamente il crimine organizzato perché non può sfuggire il dato secondo il quale in alcune zone la raccolta dei rifiuti stata possibile, mentre in altre no".

GUARDA: Sos a Napolitano, rifiuti anche dove viveva il presidente
"Sono stati segnalati episodi oscuri verificatisi negli ultimi giorni - ha denunciato de Magistris - ed è stato disposto un maggiore controllo a garanzia dei mezzi preposti alla raccolta dell'immondizia. Se il Governo, la Regione e la Provincia abbandoneranno Napoli a se stessa  i cittadini e l'amministrazione agiranno di conseguenza". "Il sindaco, il vice-sindaco Tommaso Sodano e tutta la Giunta stanno già lavorando ad un piano alternativo fondato sull'autonomia della città - ha proseguito de Magistris - che, senza se e senza ma, deve essere - e lo sarà - pulita dai rifiuti, anche per attuare quanto stabilito dalla prima delibera approvata in Giunta in merito all'estensione della raccolta differenziata a tutto il territorio cittadino".

La situazione a Napoli è drammatica. La città è ormai sepolta dai cumuli e avvelenata da miasmi nauseabondi. Anche nelle strade più larghe i marciapiedi sono spariti sotto cumuli di immondizia che diventano, di volta in volta, barricate e micce della protesta sociale, monumenti all’incapacità della politica e manifestazione di sgomento dei cittadini.

C'è chi, come il gestore della trattoria Antica Capri nei Quartieri Spagnoli, è stato costretto a chiudere bottega per l’impossibilità di lavorare, sotto l’assedio dei sacchetti. Il tutto a  poche centinaia di metri da piazza Trieste e Trento, il cuore del cuore della città, a un passo dal Teatro San Carlo: anche la centralissima piazza s’è arresa all’immondizia delle viuzze che la circondano. Lo ha fatto chiudendo le vie di fuga, o di accesso, e piazzando transenne: da un lato i cumuli, dall’altro le auto che nelle vie ingombre di quei cumuli non possono più transitare.

In questo stato di cose il Pd di Napoli chiede al Governo nazionale lo stato di emergenza. "I parlamentari campani del Pd hanno presentato una proposta di decreto legge per dichiarare lo stato di emergenza per i rifiuti a Napoli e in Campania", si legge in una nota del partito. "E' necessario intervenire con urgenza per evitare una catastrofe e per tutelare la salute dei cittadini. Governo, Regione, Province e Comuni facciano la propria parte e decidano per le proprie responsabilità. Il Pd sosterrà lo sforzo per trovare le soluzioni e non aggravare ulteriormente la situazione".


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Trattoria chiude per rifiuti












Da giorni la sua trattoria era assediata dai cumuli di spazzatura ed i miasmi che ne scaturiscono ed oggi, con i rifiuti che hanno in pratica ostruito le vie di accesso al locale, ha chiuso la sua attività spiegando su un cartello affisso sulla serranda abbassata le ragioni del gesto " Mi vergogno di stare aperto con questo scempio".
Così Vincenzo Coppa, il giovane titolare della trattoria 'Antica Capri' ha gettato la spugna e dopo solo quattro mesi di attività, nella quale l'intera famiglia aveva investito i risparmi, ha deciso di lasciar perdere.
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lunedì 20 giugno 2011

Il nuovo Concorde, Parigi New York in 90 minuti

Il nuovo Concorde, lo Zehst

Torna il mito del Concorde, l'aereo più veloce del mondo. Si chiamerà Zehst. Questa volta però sarà una sorta di razzo. La rotta è la medesima che rese famoso il velivolo poi ritirato dal mercato in seguito a terribili incidenti, e cioè Parigi - New York. Adesso, nelle previsioni, da percorrere a tempo record di soli novanta minuti. Un solo problemino, sempre che la sicurezza venga resa davvero tale, e cioè il costo. Un bell'ottomila euro a biglietto. Tutto l'opposto dei voli low cost che hanno preso piede da uno' di tempo a questa parte, ma c'è da scommetterci che dirigenti di impresa, manager vari, politici ed esponenti del mondo dello spettacolo non avranno problemi a permettersi un biglietto del genere, che permetterebbe di andare dalla Francia agli Stato Uniti nel tempo che vi vuole ad attraversare Milano quando c'è traffico. ma vediamo nei dettagli questa idea che, val e la pena dirlo, sarà operativa solo a partire dal 2050, quando magari l'uomo avrà anche cominciato a colonizzare la Luna. Il futuro è alle porte. E' un progetto curato da Eads, gigante europeo del settore, dal nome di Zehst (Zero Emission Hypersonic Transportation). Il progetto viene presentato proprio oggi al salone aeronautico di Bourget, e si tratta di un velivolo a energia pilita. che può trasportare cento passeggeri, ha un raggio di azione di 10mila chilometri e la velocità di crociera Mach 4 che corrisponde a 4800 chilometri all'ora. Il che vuol dire che il collegamento tra Parigi e Tokyo si potrà fare in due ore e mezza contro le undici e mezza che vogliono oggi mentre quello tra Parigi e New York si farà in un'ora e mezza contro le attuali sette e quarantacinque minuti. Costo previsto del biglietto andata e ritorno ottomila euro. non consumerà cherosene in enormi quantità come il vecchio Concorde e avrà un dispositivo particolare che renderà nullo o quasi il rumore.  I responsabili di Eads ci lavorano ormai da cinque anni insieme ai giapponesi. Come design ricorda vagamente proprio il Concorde. Decollerà grazie a turboreattori alimentati con biocarburanti ricavati dalle alghe. Avrà a disposizione tre razzi a idrogeno e ossigeno mentre il volo viene garantito da altri due reattori. Il volo di prova di un prototipo senza pilota è previsto nel 2020, nel 2030 il primo collaudo con uomini a bordo e nel 2050 l'inizio del servizio commerciale. Qualcuno si domanda se ha senso progettare un velivolo che sarà pronto solo fra così tanti anni, quando gli studi scientifici avranno fatto altri passi da gigante e allora magari si dovrà ricominciare daccapo o comunque si risparmieranno tanti soldi spesi in quarant'anni di studi precedenti.
Sta di fatto che l'industria aeronautica sta vivendo un momento molto felice e forse questo giustifica tali studi e tali spese. Recentemente infatti la compagnia malese Air Asia ha concluso un ordine di acquisto per 200 Airbus del valore di 17 miliardi di dollari.


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Opere supercostose, farmaci fuori mercato gli otto grandi sprechi della spesa pubblica

Una farmacia: lo stato paga spesso più del prezzo di mercato dei medicinali che acquista


ROMA - Otto aree di spreco. Otto buchi neri da cui è afflitta l'Azienda Italia. Emergono dal voluminoso documento della Commissione guidata da Piero Giarda, che è stato consegnato al ministro dell'Economia Tremonti, le indicazioni per la manovra da 40 miliardi che sarà varata a fine mese. Sanità, scuola, università, investimenti pubblici, i settori radiografati: la spesa cresce e i denari potrebbero essere utilizzati in modo più efficiente. Solo la dinamica delle pensioni sembra tenere nel decennio 2000-2009 dopo il boom del passato.

"Una tassonomia per gli interventi di governo della spesa pubblica", si intitola l'introduzione che dietro un linguaggio elegante, corroborato da una mole di dati e tabelle, mette nel mirino le aree di inefficienza e le falle della finanza pubblica italiana.

Gli sprechi del primo tipo riguardano le "applicazioni di un fattore produttivo in misura eccedente la quantità necessaria". Caso citato: due impiegati fanno un lavoro per cui uno solo sarebbe sufficiente. La seconda categoria di sprechi, individuata dalla Commissione, è il caso in cui lo Stato paga più del valore di mercato. Un esempio frequente? Lo stesso medicinale ha spesso un prezzo differente da Asl a Asl.

La terza area di spreco è senza appello: "Adozione di tecniche di produzione sbagliate e dunque produzione a costi superiori al costo necessario". La sentenza della Commissione non va per il sottile: lo Stato italiano ha la tendenza "inarrestabile" a utilizzare tecniche di produzione con molta manodopera e pochi macchinari. La quarta reprimenda, si collega alla terza: i servizi pubblici in Italia impiegano modi di produzione "antichi e chiaramente più inefficienti e costosi di quelli che avrebbero utilizzando tecnologie più avanzate e innovative". Un paese che procede come un dinosauro in Jurassic Park.

Ma anche un paese dove la pubblica amministrazione non si parla - questa è la quinta area di spreco. L'esempio viene da sanità, istruzione e università. "L'esperienza mostra - sentenzia il rapporto - che le decisioni di spesa su questi tre grandi e importanti comparti non prevedono il criterio di valutazione comparata dei benefici associati all'aumento o alla contrazione della spesa in un settore rispetto all'altro". Segnalano poca lungimiranza gli sprechi del "tipo 6" e del "tipo 7": i benefici futuri non vengono rapportati ai costi come è avvenuto negli Anni Novanta con l'Alta velocità ferroviaria e non si conosce la dinamica della spesa in termini reali in rapporto ai servizi prodotti.

Infine lo spreco dell'ottavo tipo che va a colpire al cuore il nostro sistema di Welfare: "Le politiche di sostegno dei redditi degli individui o delle famiglie bisognose possono generare disincentivi che riducono la crescita dell'economia e trasformano le condizioni temporanee di bisogno in condizioni permanenti di dipendenza". Un j'accuse all'assistenzialismo.

Se queste sono le linee guida di intervento, tre settori - sanità, scuola e università - vengono scandagliati a fondo. In primo piano la spesa sanitaria: tra il 2006 e il 2009 la spesa è cresciuta del 2,9% contro un incremento del Pil dello 0,8. Spicca la crescita del 14,1% della spesa per prodotti farmaceutici, e quella del 7,6% per l'acquisto di beni e servizi.

L'assegno che lo Stato ogni anno paga per l'istruzione scolastica è pari a 42 miliardi, in termini assoluti non è tra le più alte dell'area Ocse, ma se si guarda la spesa per il personale ci si accorge che assorbe l'81,5% del totale contro il 79,2 dei paesi maggiormente industrializzati. E in Italia gli studenti per classe sono meno che altrove: 21 nel nostro paese per la scuola secondaria, 23 in Inghilterra, 24,7 in Germania, 23,2 nella media Ocse.

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sabato 18 giugno 2011

Alcatraz compie 30 anni e diventa un ecovillaggio


L'associazione fondata da Jacopo Fo nel cuore dell'Umbria diventa grande e si evolve: 60 appartamenti ecologicamente sostenibili che sono la nuova frontiera della vita comunitaria


GUBBIO - "Libera Repubblica di Alcatraz", una roba strana per la gente umbra che vide la prima insegna, trent'anni fa. All'inizio, quando chiedevi indicazioni, c'era chi esclamava: "Ah, cerchi i Darifò!". Dariofò veniva letto tutto attaccato e al plurale faceva Darifò: Jacopo, evidentemente, era troppo giovane per avere diritto alla consacrazione anagrafica.

Trent'anni dopo la strada è la stessa. Ci si arriva attraverso un paesino che, come molti sanno, si chiama Casa del Diavolo, per l'occasione tempestato di altarini e fiori fino alla chiesa nuova, in fiero calcestruzzo davanti alla sulfurea tabella stradale. Chissà come mai, trent'anni fa, il giovane milanese Jacopo scelse quest'angolo di Umbria selvatico, esposto al sole ma altrettanto protetto dai colli intorno. Adesso nelle sue sopracciglia c'è un pizzico di bianco. Il fisico, però, è lo stesso del padre.

LE IMMAGINI
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Dev'essere la vita sana del posto, verdure e ortaggi che qui hanno conseguito la patente biologica "moooolto" prima di quanto usi oggi. Infatti il Dario e la Franca vengono sempre più spesso ad abitare qui. Lo dimostrano le tracce evidenti che il "nobeluomo" dissemina per il villaggio, statue, dipinti, sculture, orologi a vento fatti da ingranaggi di legno penzolanti.

Ma il vero regalo che Jacopo si è concesso per i trent'anni di Alcatraz si chiama "ecovillaggio" ed è un tributo al suo testardo bisogno di concretezza. Vanno bene i corsi di teatro di Luca Ronconi, quelli magici di nonsisachecosa inventati da Stefano Benni, va bene l'asino-terapia, lo yoga demenziale, la doma etologica dei cavalli, ma una casa è sempre una casa.

Il progetto è in partnership con Banca Etica, 60 appartamenti costruiti secondo criteri di massima sostenibilità ambientale, fisicamente distaccati da Alcatraz ma visibili a occhio nudo. Le prime sedici unità sono già state assegnate. Jacopo ha l'entusiasmo di un ragazzino nel mostrare come sono fatte. "L'esterno è in legno...". "No, è in pietra". "E' in legno". La mano tocca e si sorprende. È proprio legno, anche se sembra pietra. "Ovviamente - precisa Fo - se preferisci puoi fartela con l'esterno in legno naturale". "E in pietra che sembra legno?".
Jacopo neanche ascolta e sfoggia il carnet di esperti che hanno collaborato al progetto: Pietro Laureano per il sistema idrico (consigliere Unesco), Maurizio Fauri per la parte energetica (docente all'Università di Trento) e Sergio Loss, il papà della bioarchitettura italiana.

Si parla di tetti ventilati, di pareti con intercapedini leggere e antisismiche, vetri con l'anima in gas per evitare dispersione di calore, caldaie a tre bocchette che pescano l'acqua in basso per riscaldare il pavimento, a mezz'altezza per lavarsi le mani e in cima per la doccia. Spazi comuni che non ha senso avere in casa, come la lavanderia o la piscina e il salone delle feste. La metamorfosi della vita comunitaria, dal '68 a oggi, è racchiusa in una regola semplice: nessuno ti obbliga a stare insieme al prossimo ma se hai voglia di vedere qualcuno, sai dove andare.

Dal balcone si vede lo scrimo verde del fiume Resina. Jacopo ha un sussulto di riso. "Dovessi dire il ricordo più vivo di questi trent'anni, metterei in testa la risalita del fiume con Dacia Maraini e Andrea Pazienza, tutti vestiti con costumi ottocenteschi, portando a spalla Massimo Capotorto, fumettaro pazzo, perfettamente a suo agio nel ruolo di capopolo. Grande performance demenziale".

Ci sono anche compiacimenti più individuali, legati al teatro, alla recitazione e alla scrittura. Ascoltare le proprie parole in bocca a Paolo Rossi, addirittura scandite da Dario Fo e Franca Rame, ché sul palco non sono mamma e papà e non dispensano "licenze teatrali" per linea dinastica. Con fatica Jacopo si è conquistato un posto nel desco dei giullari, dove non sono ammessi intrusi perché a nessuno è concesso sapere cosa c'è sotto la maschera, mogli, mariti e figli compresi: "Il mio debutto è stato al Teatro dei Satiri, a Roma. Avevo quarant'anni". E non aggiunge altro, uscendo di scena e lasciando al morbido scricchiolio delle tavole di legno l'effetto finale. Qui il legno la fa da padrone e a ben vedere l'ecovillaggio è un sorta di palcoscenico che aspetta l'applauso da madre terra.

Dietro queste case, ficcate in terra come candeline sulla torta, c'è il percorso trentennale di Jacopo e del suo "ideale repubblicano", una maturazione sempre più attenta agli aspetti concreti della vita comune, al recupero del "senso delle cose". Chi cercasse contraddizioni nell'effimero yoga demenziale forse non si è mai misurato con le provocazioni burocratiche che in Italia colpiscono a tradimento tutte le "rivoluzione dolci". Curare la demenza attraverso il demenziale è una sorta di principio omeopatico, previene l'ulcera.

Di sicuro manca, nella biblioteca di Jacopo scrittore, un resoconto sui mille sgambetti ricevuti durante i trent'anni di Alcatraz. Sarebbe la testimonianza di un figlio generato dal Grande Sberleffo che prova a incarnare i sogni di una socialità diversa e racconterebbe meglio di altri l'affanno italiano dietro il resto d'Europa. Il Batman, alto due metri e sistemato sul tetto di Alcatraz, ascolta e annuisce gravemente.

Cala il sole. Si riparte dalla folle e libera Repubblica con in tasca il passaporto locale, i francobolli commemorativi per la giornata della pigrizia, una banconota da dieci talenti vera come un bel sogno e un doblone luccicante. Ci si rituffa giù per il quagliodromo, per Casa del Diavolo tempestata di altarini, nel cuore dell'Umbria verde e rossa che ha la più alta percentuale di cemento prodotto in Italia e sta per riaprire una vecchia centrale a carbone truccata da qualche manciata di biomasse. Un po' di rassicurante schizofrenia, ecco cosa mancava.

giovedì 16 giugno 2011

Energia marina, l'Enea ci crede presto la carta dei siti migliori


ROMA - La data è stata scelta in tempi non sospetti, ma non poteva capitare meglio. Pochi giorni dopo il referendum che spinge l'Italia in maniera ancora più decisa a perseguire lo sviluppo delle fonti rinnovabili, scienziati, imprenditori e amministratori si riuniscono oggi e domani a Roma per valutare le "Prospettive di sviluppo dell'energia dal mare per la produzione elettrica in Italia". A convocare la due giorni di confronto è l'Enea, che da alcuni mesi grazie a un finanziamento di 500 mila euro ottenuto dal ministero dello Sviluppo economico attraverso i fondi raccolti in bolletta alla voce "Ricerca di sistema elettrico" sta mappando le acque del Mediterraneo a caccia delle zone più promettenti per produrre energia.

Rispetto a fonti più mature e consolidate come eolico, solare e biomasse, lo sfruttamento della forza di onde, correnti e maree avviene attualmente solo grazie a pochi prototipi, ma le potenzialità sono decisamente allettanti. "Il rapporto The Wave World & Tidal Market, stilato dalla società finanziaria Douglas-Westwood - rilevano dall'Enea - stima che tra il 2011 e il 2015 saranno installati nel mondo impianti che consentiranno di ricavare almeno 150 MW di energia elettrica dal moto ondoso e dalle correnti di marea. Secondo la ricerca il settore dell’energia dal mare godrà inoltre nei prossimi cinque anni di un volume di investimenti pari a 1,2 miliardi di dollari". Altre stime citate dall'Enea ricordano poi che "dal mare si possono ricavare tra i 20.000 e i 90.000 TWh/anno".

"Al momento - spiega Vincenzo Artale, responsabile dell'Unità Tecnica Modellistica Energica Ambientale - stiamo raccogliendo nuovi dati da inserire nei modelli che abbiamo messo a punto grazie a un'esperienza ventennale. Entro la fine dell'anno contiamo di consegnare a tutte le parti interessate una mappa dei siti che meglio si prestano alla realizzazione di impianti per la produzione di energia dalle correnti, dalle maree e dal moto ondoso. Oltre allo Stretto di Messina, dove sono già in corso da alcuni anni dei primi esperimenti, le zone che si presentano più interessanti sono sicuramente le coste tirreniche".

La due giorni di dibattito voluta dall'Enea è quindi un importante primo passo per far incontrare le diverse realtà scientifiche, tecnologiche e imprenditoriali che già operano in questo settore, mettendole a confronto con i responsabili della rete elettrica nazionale (Terna) e del Gestore dei servizi energetici (Gse).

"Le prime tecnologie per lo sfruttamento dell'energia marina - ricordano ancora dall'Enea - risalgono agli  anni '70. L'esperienza italiana è sicuramente più recente ma non meno importante. Il progetto Enermar è il primo prototipo di una turbina marina ad asse verticale denominata Kobold 1, installata nello Stretto di Messina. Inoltre, grazie a un brevetto italiano, in ulteriore via di sviluppo, di una diga a cassoni denominata  Rewec3 (Reasonant Wave Energy Converter), è stato realizzato un dispositivo avanzato per lo sfruttamento dell'energia ondosa".

"Esperienza, tecnologia e soprattutto migliaia di chilometri di coste: abbiamo tutto ciò che ci serve per vincere questa sfida", dice ancora Artale. "Il nucleare - aggiunge - in Italia praticamente non c'è mai stato e ora sappiamo che non ci sarà mai più, per questo dobbiamo cercare l'energia ovunque, a cominciare dal mare. Ma anziché pensare a nuove trivellazioni ed esplorazioni a caccia di gas e petrolio, diamoci da fare per catturare la forza del Mediterraneo. Le possibilità sono moltissime e dalle piattaforme integrate ai frangifrutti, le possibilità di catturare onde, maree e correnti con sistemi integrati poco invasivi sono moltissime".

Che fine faranno le macerie dello tsunami


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La storia di Minamisanriku, città distrutta dalle onde anomale che oggi ha 700 mila tonnellate di detriti da rimuovere

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Minamisanriku è un città del Giappone nord-orientale che lo scorso 11 marzo è stata quasi completamente rasa al suolo dallo tsunami causato dal forte terremoto di magnitudo 9 che ha colpito il paese. Oltre il 90 per cento della città, che era abitata da circa 19mila persone, è stato distrutto dalle onde anomale che hanno raggiunto anche i 16 metri di altezza. Centinaia di persone sono morte, ci sono diverse migliaia di dispersi e oltre diecimila abitanti della zona sono rimasti senza un’abitazione e sono costretti a vivere nei centri di accoglienza e di emergenza, o in altre aree del Giappone ospitati da amici e parenti. Passeranno ancora molti mesi prima che possano fare ritorno a Minamisanriku, dove da settimane si lavora per rimuovere l’enorme mole di detriti causati dallo tsunami.
Nell’area ci sono da rimuovere circa 700 mila tonnellate di macerie e c’è il serio problema di dove mettere i detriti, spiega Miranda Leitsinger su MSNBC. In città l’area distrutta occupa circa dieci chilometri quadrati e al suo interno vi si può trovare di tutto: calcinacci, automobili, frigoriferi, acciaio, cemento, abiti, vetri frantumati, condizionatori e migliaia di oggetti di plastica, legno, gomma e altri materiali. Per rimuovere tutto, dicono le autorità locali, serviranno mesi e almeno 27,4 milioni di dollari per finanziare le società che si stanno occupando della raccolta.
Il lavoro viene svolto con diversi sistemi a seconda delle macerie e delle loro dimensioni. Solitamente ruspe e pale meccaniche raccolgono i detriti più grandi, che vengono poi suddivisi a secondo dei materiali che li compongono. Poi intervengono squadre di addetti alla raccolta dei detriti di piccole dimensioni. Utilizzando pinze, punteruoli o direttamente le mani, separano i piccoli pezzi di vetro dai metalli e dalla plastica, cercando di rimuovere il maggior numero di detriti dal suolo.
Il lavoro di separazione delle macerie è fondamentale per potersi liberare di una quantità così grande di materiale. Tutto ciò che potrà essere bruciato senza pericoli per la salute verrà incenerito, mentre metalli, vetro e plastica saranno riciclati. Anche dopo queste operazioni si prevede rimarranno centinaia di tonnellate di detriti e poiché il Giappone non dispone di grandi porzioni di territorio libere, queste saranno probabilmente inviate in altri paesi che hanno deciso di accogliere i rifiuti e i detriti dello tsunami.
La prefettura di Miyagi, che comprende anche la città di Minamisanriku, sta anche progettando di utilizzare alcune isole dell’arcipelago di Matshushima come discarica per le macerie. L’area insulare è considerata uno dei posti più belli e scenografici del Giappone, ha subito danni limitati a seconda della posizione delle isole rispetto al fronte dell’onda dello tsunami e si teme che le operazioni di scarico e accumulo dei detriti possano rovinarne l’aspetto, e di conseguenza l’economia locale che si basa anche sul turismo oltre che sulla pesca.

Per gestire lo smaltimento del materiale, le autorità locali hanno anche messo a punto un piano per la costruzione di cinque nuovi inceneritori nella prefettura di Miyagi. La costruzione degli impianti richiederà però tempo e quello che servirà alla città di Minamisanriku, in costruzione nella vicina Motoyoshi, non sarà pronto prima dell’autunno del 2012. Questo significa che le società che si stanno occupando del recupero e della pulizia potrebbero essere obbligate a fermare i lavori, perché le discariche temporanee si stanno riempiendo rapidamente di detriti che non possono essere ancora inceneriti.
Inizialmente non era previsto che le discariche temporanee si riempissero così in fretta. Nelle settimane dopo lo tsunami il lavoro di raccolta e pulizia è andato avanti a rilento, perché era ancora in corso la ricerca dei corpi di chi era rimasto sotto le macerie. La ricerca delle vittime è terminata a fine maggio e da allora il lavoro di raccolta ha subito una notevole accelerazione. Takashi Abe della Abei Construction, una delle venti società cui è stato affidato il compito di ripulire Minamisanriku, coordina il lavoro di un centinaio di scavatrici e di oltre 70 camion nell’area. Ogni giorno la sua impresa trasporta l’equivalente di 500 grandi camion, ma la raccolta in alcune aree non è ancora nemmeno iniziata.
L’arrivo della stagione piovosa e calda potrebbe complicare le cose nei prossimi mesi. L’acqua ristagna tra i detriti accatastati nelle discariche temporanee, creando un ambiente ideale per zanzare e insetti infestanti, che potrebbero portare a seri problemi igienici nell’estate. Incrostate dal sale dell’acqua marina, le macerie sono anche maleodoranti e con l’esposizione diretta al calore solare rischiano di rendere l’aria irrespirabile nella zona. La presenza stessa del sale rende inoltre non riciclabile molto materiale, che dovrà essere quindi impilato nelle discariche in attesa di essere incenerito.
Il lavoro di recupero delle macerie ha comunque almeno un lato positivo: dà lavoro a diverse migliaia di persone che altrimenti sarebbero rimaste disoccupate a causa della chiusura di stabilimenti e uffici dopo lo tsunami. La maggior parte degli operatori che ripuliscono la zona sono cittadini di Minamisanriku. In molti casi sono pescatori le cui imbarcazioni sono andate distrutte a causa delle onde anomale che si sono abbattute lungo la costa. Abe offre lavoro part-time a 80 di loro, che si vanno ad aggiungere ai 300 lavoratori a tempo pieno della società: «Dandogli questo lavoro, diamo loro un po’ di speranza e denaro così da poter ricostruire insieme la nostra città».

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Le prove dei massacri dello Sri Lanka





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Una tv britannica sta per diffondere un nuovo video sulle stragi compiute dall'esercito nelle fasi finali della guerra civile

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Un nuovo video sulle atrocità della guerra civile in Sri Lanka sta per essere diffuso dal canale televisivo britannico Channel 4 News. Il video documenta quello che avvenne nelle settimane conclusive del conflitto, durante il quale morirono oltre centomila persone. Le immagini del video mostrano massacri commessi dall’esercito dello Sri Lanka contro i prigionieri, gli effetti dei bombardamenti su alcuni ospedali civili e i corpi di alcune combattenti Tamil brutalmente assassinate. Il video documenta anche alcune delle violenze commesse dalle Tigri Tamil, tra cui il ricorso a scudi umani e un attentato suicida in un ufficio del governo.
In uno dei passaggi più violenti, tre civili sono inginocchiati sul ciglio di una strada con le braccia legate dietro la schiena e gli occhi bendati. Uno dei soldati dell’esercito, rivolgendosi agli altri, chiede se ci sia nessuno con il fegato per uccidere un terrorista: «Questo stronzo ha un’arma ma ha ancora paura di un terrorista», dice. Poi ordina ai soldati di sparare «direttamente alla testa». Due cadono di lato, il terzo a faccia in avanti. Dai metadati contenuti nel video, probabilmente registrato dal cellulare di uno dei soldati, sembra che il filmato sia stato girato il 15 maggio 2009, durante le ultimi fasi della guerra. Si stima che circa 40.000 civili siano morti soltanto in quel periodo.
Il video è stato visionato alla fine di maggio dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ed è stato descritto come uno dei documenti più scioccanti relativi alla guerra in Sri Lanka. L’anno scorso Channel 4 aveva già diffuso un video in cui alcune truppe del governo singalese massacravano i prigionieri Tamil. Lo scorso novembre era emerso un secondo video dello stesso massacro, in cui si vedevano i cadaveri nudi di almeno sette donne.
Le dimensioni dei massacri compiuti nella fase finale della guerra civile in Sri Lanka sono da tempo oggetto di inchieste internazionali. Il nuovo video sembrerebbe confermare i risultati di un rapporto dell’anno scorso di International Crisis Group, che spiegava come nella primavera del 2009 il governo avesse bombardato intenzionalmente e ripetutamente i civili, gli ospedali e le operazioni umanitarie per reprimere e annientare la decennale ribellione delle Tigri Tamil.
I Tamil, che costituiscono circa il dodici percento della popolazione dello Sri Lanka, sostengono di essere stati sempre discriminati dalla maggioranza singalese da quando lo Sri Lanka ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948. Il risentimento della minoranza Tamil ha favorito la nascita di molti gruppi armati, tra cui appunto le  Tigri per la Liberazione della patria Tamil, che dalla fine degli anni settanta hanno condotto una violenta campagna secessionista poi sfociata in oltre vent’anni di guerra civile e attentati contro i civili.

La Grecia verso un nuovo governo



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Il premier Papandreou non si dimette e promette un rimpasto per risanare il Paese e ottenere i fondi dall'Europa e dal FMI


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Il primo ministro della Grecia, George Papandreou, ha annunciato un rimpasto di governo in seguito alle proteste degli ultimi giorni nel paese e alla nascita di un forte dissenso all’interno del Partito Socialista, che ha la maggioranza in Parlamento. La decisione è arrivata poche ore dopo lo sciopero generale di ieri, indetto dai due principali sindacati greci, che ha paralizzato buona parte del paese. Ad Atene ci sono stati diversi scontri tra alcuni manifestanti violenti e le forze dell’ordine, che hanno risposto con cariche e con il lancio di lacrimogeni.
Papandreou ha annunciato che non darà le dimissioni da primo ministro, come avevano ipotizzato numerosi analisti politici ieri. Il premier rimarrà al proprio posto e proverà a formare un nuovo governo in grado di sostenere il piano di tagli e privatizzazioni necessari per superare la crisi economica, e ottenere al tempo stesso i nuovi finanziamenti promessi dal Fondo Monetario Internazionale e dall’Unione Europea per stabilizzare l’economia del continente. Il progetto del governo è stato duramente criticato dalla popolazione e ieri alcune migliaia di manifestanti hanno provato a bloccare l’ingresso al Parlamento, per impedire che iniziasse la discussione del piano proposto da Papandreou.
I piani del governo per il rilancio dell’economia prevedono un ambizioso progetto di tagli, pari a circa 28 miliardi di euro, e un piano di privatizzazioni che potrebbe fruttare fino a 50 miliardi di euro. La Grecia non ha molta alternativa: tagli e privatizzazioni sono richiesti come condizione minima dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, che vogliono garanzie su una effettiva svolta della politica economica del paese prima di avviare una nuova immissione di fondi in Grecia per almeno 12 miliardi di euro.
Il governo presieduto dal leader socialista è in carica dal 2009 e da allora ha dovuto affrontare momenti molto difficili per la Grecia, travolta da una gravissima crisi economica che preoccupa anche l’Europa. Papandreou non ha ancora comunicato quanto sarà ampio il rimpasto che ha in mente, ma per dare un segnale forte è probabile che sostituisca almeno l’attuale ministro dell’Economia, George Papaconstantinou. Il suo posto potrebbe essere preso da Lucas Papademos, conosciuto principalmente per aver lavorato come vicepresidente della Banca Centrale Europea, spiegano su BBC.
Al termine della difficile giornata di ieri, Papandreou si è rivolto con un messaggio televisivo alla nazione, dicendo di essere determinato a proseguire sulla strada tracciata dal proprio governo per il risanamento. Oggi il primo ministro formerà il nuovo governo e successivamente chiederà al Parlamento di accordargli la fiducia sperando di avere i numeri per governare. La sua maggioranza al momento è formata da 155 deputati su 300 a causa delle defezioni delle ultime settimane di diversi uomini politici, contrari alle politiche del governo e non più disposti a sostenerlo.

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lunedì 13 giugno 2011

Gli italiani fanno a meno dei partiti


Testo: Buongiorno a tutti, allora il nostro governo ha voluto rimanere nell’illegalità fino all’ultimo istante e poche ore fa con le urne ancora aperte e con il quorum ancora da raggiungere, c’è oltretutto il pasticcio del voto degli italiani all’estero causato dalla legge che all’ultimo momento aveva cambiato le carte in tavola sul nucleare rendendo così superata la scheda in materia nucleare votata dagli italiani all’estero a partire da due settimane fa, il Ministro Maroni e il Presidente del Consiglio Berlusconi hanno annunciato che il quorum è stato raggiunto, così da scoraggiare chi deve andare a votare a farlo, seminando rilassamento nell’elettorato e magari tenendo a casa qualcuno che in caso contrario invece si sarebbe precipitato alle urne, dato che sono le 14 e c’è ancora un’ora di tempo per votare.
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Referendum, centrato il quorum, Affluenza al 57%



ROMA - I quattro referendum abrogativi per i quali hanno votato ieri ed oggi gli italiani sono validi. E' stato, infatti, raggiunto, per tutti i quesiti, il quorum richiesto, ossia un numero di votanti pari al 50% più uno degli elettori. L'affluenza alle urne in Italia, intorno al 57%, ha reso ininfluente il numero dei votanti all'estero.
BERLUSCONI, VOLONTA' NETTA DA ACCOGLIERE - "L'alta affluenza nei referendum dimostra una volontà di partecipazione dei cittadini alle decisioni sul nostro futuro che non può essere ignorata. Anche a quanti ritengono che il referendum non sia lo strumento più idoneo per affrontare questioni complesse, appare chiaro che la volontà degli italiani è netta su tutti i temi della consultazione". Lo afferma in una nota il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi aggiungendo che "il Governo e il Parlamento hanno ora il dovere di accogliere pienamente il responso dei quattro referendum".


CALDEROLI, STUFI DI PRENDER SBERLE - "Alle Amministrative due settimane fa abbiamo preso la prima sberla, ora con il referendum è arrivata la seconda sberla e non vorrei che quella di prendere sberle diventasse un'abitudine... Per questo domenica andremo a Pontida per dire quello che Berlusconi dovrà portare in Aula il 22 giugno , visto che vorremmo evitare che, in quanto a sberle, si concretizzi il proverbio per cui non c'é il due senza il tre...". Lo afferma il Ministro per la Semplificazione Normativa e Coordinatore delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli.
TERZO POLO, E'NO GRANDE COME CASA AL GOVERNO - "La grande partecipazione popolare ai Referendum dimostra la volontà degli italiani di tornare ad essere protagonisti: è ormai chiaro che la maggioranza e il governo sono totalmente sordi, incapaci di capire ciò che vogliono gli italiani". Lo scrivono in una dichiarazione comune Fini, Casini e Rutelli, al termine di un vertice del Terzo Polo. "Nel raggiungimento del quorum - sottolineano - è stato determinante il Terzo Polo, con la decisione di invitare tutti al voto al di là delle scelte di merito che consapevolmente rivendichiamo. Il SÞ ai referendum è un NO grande come una casa a questo governo. E' tempo che Berlusconi ne prenda atto. Minimizzare, come ha fatto dopo le amministrative, sarebbe irresponsabile e dannoso per gli interessi nazionali".
MARONI, PROIEZIONI DICONO CI SARA' QUORUM - ''Io ho solo il dato di ieri sera, non ci saranno altre rilevazioni della partecipazione fino alle 15, quando si chiudono i seggi. Pero' la proiezione fatta dagli esperti del ministero dell'Interno rispetto al dato di ieri fa pensare che si raggiungera' il quorum per tutti e quattro i referendum, anche senza considerare il voto degli italiani all'estero''. Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, interpellato al termine di una visita privata al sindaco di Varese, Attilio Fontana.
BERLUSCONI, DOVREMO DIRE ADDIO A CENTRALI NUCLEARI - "L'Italia probabilmente a seguito di una decisione che il popolo italiano sta prendendo in queste ore, dovrà dire addio alla questione delle centrali nucleari e quindi dovremo impegnarci fortemente sul settore delle energie rinnovabili". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso della conferenza stampa a Villa Madama con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu.
BONELLI, ANNUNCIO MARONI E' FUORI LUOGO - "L'Annuncio del ministro Maroni è fuori luogo: a questo punto il Viminale renda noti i dati ufficiali delle 12.00. I cittadini in queste ultime ore devono essere ancora più motivati e continuare ad andare a votare. Non vogliamo che in queste ore ci sia alcun tentativo di demotivazione. Invitiamo quindi tutti i cittadini ad andare a votare ed essere protagonisti di questo grande cambiamento per il Paese". Lo dichiara il Presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli.
SACCONI, TENERE CONTO DECISIONI ELETTORI - "Bisognerà tenere conto delle decisioni che l'elettorato ha espresso in queste ore". Lo ha detto il ministro del Welfare Roberto Sacconi nel corso di un lungo e articolato intervento all'assemblea di Assolombarda riferendosi all'esito del referendum.
PD, NO A DICHIARAZIONI AMBIGUE A URNE APERTE - "Il rispetto delle regole e delle istituzioni non è certo il forte del Governo e dei rappresentanti della maggioranza. Ce ne eravamo resi conto da tempo ma oggi non possiamo non sottolineare che, nel rispetto dell'istituto referendario e dei cittadini ancora in fila ai seggi per votare, sarebbe opportuno astenersi da dichiarazioni ambigue per finalità ". Lo afferma in una nota Nico Stumpo, responsabile organizzazione del Partito Democratico.

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sabato 4 giugno 2011

DICONO DI NOI...






Nella vignetta si vede il leader socialista francese Dominique Strauss-Kahn dietro le sbarre, a colloquio col suo avvocato, che gli comunica: “Il suo comportamento la squalifica come presidente della Francia. D’altro canto la qualifica per diventare Primo ministro italiano”.

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