Periodicamente tornano le segnalazioni su Emanuela Orlandi, quindicenne figlia di un prefetto vaticano, che scomparve a Roma il 22 giugno 1983. Da allora di lei non si sa più nulla. Nulla di concreto, per lo meno. Perché, appunto, periodicamente arriva una segnalazione, un’indicazione, una nuova pista. Pochi giorni fa un uomo, che si è definito ex agente dei servizi segreti con nome in codice Lupo, ha telefonato a una Tv romana, Roma Uno, dicendo di sapere che Emanuela è viva: «Si trova in una clinica psichiatrica di Londra», ha detto l’uomo al telefono. «È lì con due medici e quattro infermiere».
Ma perché Emanuela dovrebbe essere a Londra, in un manicomio? E chi l’avrebbe portata lì? Negli anni la sua presenza è stata segnalata in Turchia e in Germania. Nel 1983, una anno dopo la scomparsa, una donna disse di averla vista scendere da una A112 a Merano, intorpidita, «sembrava sedata», spiegò. Con tutto l’ottimismo del mondo è difficile pensare che Emanuela Orlandi sia viva. Forse la certezza sul suo destino non si avrà mai. Forse davvero divenne pedina di scambio da parte dei servizi segreti bulgari che chiedevano la libertà di Alì Agca, l’attentatore del Papa. Ma in questo caso la domanda è: perché i servizi segreti di Sofia, probabili mandanti dell’attentato a Giovanni Paolo nel 13 maggio del 1981, volevano Agca libero? Volevano ucciderlo?
E se invece la storia fosse un’altra? Se a prendere Emanuela fossero stati gli uomini della banda della Magliana? Sabrina Minardi, ex fidanzata di uno dei capi della banda, Enrico De Pedis (tutti lo chiamavano Renatino), ha raccontato ai magistrati che fu il suo uomo, insieme ad altri del gruppo, a rapire la Orlandi. De Pedis era uno dei capi, crudeli e spietati, di quella implacabile macchina da soldi e terrore che comandò su Roma tra la fine degli anni settanta e i primi novanta, allungando la sua sfera di potere su tutta Italia. Non c’è mistero, trama, strage, intrigo italiano in cui non siano entrati in qualche modo uomini e personaggi della banda della Magliana. Come finì Emanuela Orlandi in questo ingranaggio? Secondo la Minardi, molti soldi della banda della banda confluivano in conti segreti dello Ior, la banca vaticana, allora gestita dal monsignore polacco Paul Casimir Marcinkus. Quei soldi a un certo punto sparirono, oppure furono bloccati. De Pedis allora decise di agire: rapì Emanuela Orlandi (sarebbe andata bene, a quanto pare, qualsiasi figlia di dipendente vaticano) per fare pressioni su Marcinkus. Se fosse vero il racconto della Minardi (e i magistrati le riconoscono una certa attendibilità) sarebbe purtroppo vera probabilmente anche la conclusione: Emanuela fu uccisa e gettata in una betoniera dalle parti di Torvaianica.
Questa storia si incrocia con tante altre storie: con quella di Roberto Calvi e del Banco Ambrosiano, con la P2 di Licio Gelli, con il terrorismo nero. I neri dei Nar (quelli di Fioravanti e Mambro) fornivano manovalanza alla banda, in cambio quelli della Magliana davano loro soldi e armi. Nel 1977, quando i carabinieri fecero irruzione in una base di terroristi neri a Roma che facevano capo a Pierluigi Concutelli, l’assassino del giudice Vittorio Occorsio, trovarono armi e soldi. E i soldi provenivano dal sequestro, avvenuto a Milano, della giovane Manuela Trapani. A rapire la Trapani era stato Renato Vallanzasca. Un rapimento che fece epoca, con annessa storia d’amore (è leggendaria la scena struggente del rilascio dopo il pagamento del riscatto quando “Manu”, così la chiamava lui, abbraccia Renato). Insomma, la storia Emanuela Orlandi naviga pienamente in quella zona grigia dove compaiono e scompaiono protagonisti, comprimari, verità e menzogne della storia dell’Italia contemporanea.
In quella zona grigia naviga anche un’altra storia, che sembra una leggenda ma che è invece vera, concreta. Quando Renatino De Pedis venne assassinato il 2 febbraio 1990 da altri membri della banda, fu sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare, a Roma, in pieno centro. Lì riposano solo vescovi, papi e benefattori della chiesa. Che ci sia sepolto anche un criminale, uno dei peggiori, fa piuttosto impressione. Eppure è così. Cosa ci fa de Pedis in quella chiesa? Probabilmente per essere sepolto con così tanto onore, Renatino donò a Sant’Apollinare un sacco di soldi. O forse il Vaticano non poté dire di no alla famiglia. Chissà.
E pensare che fino a non molto tempo fa di quella sepoltura sapevano davvero in pochi. E quei pochi non parlavano. Fu una telefonata anonima durante una puntata di “Chi l’ha visto?” nel 2005 a rompere un muro di silenzio che durava da 15 anni. Un uomo al telefono disse: «Se volete sapere che fine ha fatto Emanuela Orlandi andate a vedere dove è sepolto Renatino De Pedis». Da qualche mese i magistrati hanno deciso che la tomba di Renatino De Pedis deve essere riaperta. Non è ancora stato stabilita la data in cui si procederà all’operazione. O forse la data viene mantenuta segreta per evitare curiosità imbarazzanti. Porbabilmente in quella tomba però si troveranno solo i resti di un boss criminale. E nulla che possa far luce davvero sul mistero di Emanuela Orlandi.
TAG: emanuela orlandi, enrico de pedisMa perché Emanuela dovrebbe essere a Londra, in un manicomio? E chi l’avrebbe portata lì? Negli anni la sua presenza è stata segnalata in Turchia e in Germania. Nel 1983, una anno dopo la scomparsa, una donna disse di averla vista scendere da una A112 a Merano, intorpidita, «sembrava sedata», spiegò. Con tutto l’ottimismo del mondo è difficile pensare che Emanuela Orlandi sia viva. Forse la certezza sul suo destino non si avrà mai. Forse davvero divenne pedina di scambio da parte dei servizi segreti bulgari che chiedevano la libertà di Alì Agca, l’attentatore del Papa. Ma in questo caso la domanda è: perché i servizi segreti di Sofia, probabili mandanti dell’attentato a Giovanni Paolo nel 13 maggio del 1981, volevano Agca libero? Volevano ucciderlo?
E se invece la storia fosse un’altra? Se a prendere Emanuela fossero stati gli uomini della banda della Magliana? Sabrina Minardi, ex fidanzata di uno dei capi della banda, Enrico De Pedis (tutti lo chiamavano Renatino), ha raccontato ai magistrati che fu il suo uomo, insieme ad altri del gruppo, a rapire la Orlandi. De Pedis era uno dei capi, crudeli e spietati, di quella implacabile macchina da soldi e terrore che comandò su Roma tra la fine degli anni settanta e i primi novanta, allungando la sua sfera di potere su tutta Italia. Non c’è mistero, trama, strage, intrigo italiano in cui non siano entrati in qualche modo uomini e personaggi della banda della Magliana. Come finì Emanuela Orlandi in questo ingranaggio? Secondo la Minardi, molti soldi della banda della banda confluivano in conti segreti dello Ior, la banca vaticana, allora gestita dal monsignore polacco Paul Casimir Marcinkus. Quei soldi a un certo punto sparirono, oppure furono bloccati. De Pedis allora decise di agire: rapì Emanuela Orlandi (sarebbe andata bene, a quanto pare, qualsiasi figlia di dipendente vaticano) per fare pressioni su Marcinkus. Se fosse vero il racconto della Minardi (e i magistrati le riconoscono una certa attendibilità) sarebbe purtroppo vera probabilmente anche la conclusione: Emanuela fu uccisa e gettata in una betoniera dalle parti di Torvaianica.
Questa storia si incrocia con tante altre storie: con quella di Roberto Calvi e del Banco Ambrosiano, con la P2 di Licio Gelli, con il terrorismo nero. I neri dei Nar (quelli di Fioravanti e Mambro) fornivano manovalanza alla banda, in cambio quelli della Magliana davano loro soldi e armi. Nel 1977, quando i carabinieri fecero irruzione in una base di terroristi neri a Roma che facevano capo a Pierluigi Concutelli, l’assassino del giudice Vittorio Occorsio, trovarono armi e soldi. E i soldi provenivano dal sequestro, avvenuto a Milano, della giovane Manuela Trapani. A rapire la Trapani era stato Renato Vallanzasca. Un rapimento che fece epoca, con annessa storia d’amore (è leggendaria la scena struggente del rilascio dopo il pagamento del riscatto quando “Manu”, così la chiamava lui, abbraccia Renato). Insomma, la storia Emanuela Orlandi naviga pienamente in quella zona grigia dove compaiono e scompaiono protagonisti, comprimari, verità e menzogne della storia dell’Italia contemporanea.
In quella zona grigia naviga anche un’altra storia, che sembra una leggenda ma che è invece vera, concreta. Quando Renatino De Pedis venne assassinato il 2 febbraio 1990 da altri membri della banda, fu sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare, a Roma, in pieno centro. Lì riposano solo vescovi, papi e benefattori della chiesa. Che ci sia sepolto anche un criminale, uno dei peggiori, fa piuttosto impressione. Eppure è così. Cosa ci fa de Pedis in quella chiesa? Probabilmente per essere sepolto con così tanto onore, Renatino donò a Sant’Apollinare un sacco di soldi. O forse il Vaticano non poté dire di no alla famiglia. Chissà.
E pensare che fino a non molto tempo fa di quella sepoltura sapevano davvero in pochi. E quei pochi non parlavano. Fu una telefonata anonima durante una puntata di “Chi l’ha visto?” nel 2005 a rompere un muro di silenzio che durava da 15 anni. Un uomo al telefono disse: «Se volete sapere che fine ha fatto Emanuela Orlandi andate a vedere dove è sepolto Renatino De Pedis». Da qualche mese i magistrati hanno deciso che la tomba di Renatino De Pedis deve essere riaperta. Non è ancora stato stabilita la data in cui si procederà all’operazione. O forse la data viene mantenuta segreta per evitare curiosità imbarazzanti. Porbabilmente in quella tomba però si troveranno solo i resti di un boss criminale. E nulla che possa far luce davvero sul mistero di Emanuela Orlandi.
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