Il Canale di Sicilia è ancora una volta nel mirino della compagnia petrolifera australiana Audax, già nota alle cronache per il suo interesse a scandagliare i fondali del mare a sud dell’isola. Greenpeace, naturalmente, non ci sta e ha confezionato uno speciale report dal titolo “Le mani sul tesoro” che mostra con dovizia di particolari i risultati di un’esplorazione della zona nella quale sono richieste le autorizzazioni per la ricerca del greggio.
La straordinaria biodiversità e la fondamentale importanza di quel tratto di mare hanno convinto Greenpeace a ribadire la necessità dell’istituzione di una riserva marina che lo tuteli da qualsiasi tipo di sfruttamento. Le immagini sono eloquenti, le potete vedere voi stessi, grazie al lavoro della Rainbow Warrior che ha effettuato una ricognizione nei banchi di Skerki, Talbot, Avventura e Pantelleria, alcuni fra quelli interessati nell’area oggetto delle richieste d’autorizzazioni che Greenpeace chiede vengano bloccate dal ministro Prestigiacomo.
Qui il report in pdf.
Biodiversità nel Canale di Sicilia
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mercoledì 31 agosto 2011
martedì 30 agosto 2011
Presi in giro ancora una volta
Come volevasi dimostrare la manovra elaborata dal governo è l’ennesima presa per i fondelli. Dopo sette ore si è trovato l’accordo fra Berlusconi, Bossi e Tremonti. Quindici giorni di grandi proclami: abolizione delle province, taglio dei comuni sotto i mille abitanti, dimezzamento dei parlamentari e contributo di solidarietà per i redditi superiori ai 150.000 €uro. Tutte proposte che hanno riempito i giornali e i telegiornali fino a ieri ma che da oggi spariranno, visto che questi provvedimenti sono stati cancellati.
Si metteranno mano, per l’ennesima volta, alle pensioni. L’abolizione delle province slitterà e comunque con il nuovo censimento, che verrà fatto quest’anno, quelle eliminate saranno veramente poche, praticamente un numero ridicolo. Le province vanno abolite tutte e subito.
Il contributo di solidarietà sparirà e i privilegi dei parlamentari non saranno toccati. Praticamente a pagare saranno sempre gli stessi. A pagare saranno i cittadini onesti.
La Lega Nord fino all’ultimo ha giurato che le pensioni non sarebbero state toccate e infatti per raggiungere l’anzianità di servizio non sarà più possibile riscattare il servizio militare o gli anni dell’Università. Come al solito la Lega Nord dice una cosa e ne fa un’altra.
Per fare cassa si mettono mano alle pensioni. Tolgono il contributo di solidarietà per i redditi superiori a 150.000 €uro l’anno e mandano in pensione, almeno un anno dopo, molti lavoratori. L’ennesima manovra che non risolve nulla ma che attacca le fasce sociali più deboli senza fare riforme strutturali per le future generazioni.
Ancora una volta a pagare sarà il popolo. Ancora una volta il popolo tace davanti a l’ennesima presa in giro. A volte mi chiedo quanto ancora saremo in grado di sopportare prima di mandarli a casa tutti a calci nel culo.
Fonte Articolo
Si metteranno mano, per l’ennesima volta, alle pensioni. L’abolizione delle province slitterà e comunque con il nuovo censimento, che verrà fatto quest’anno, quelle eliminate saranno veramente poche, praticamente un numero ridicolo. Le province vanno abolite tutte e subito.
Il contributo di solidarietà sparirà e i privilegi dei parlamentari non saranno toccati. Praticamente a pagare saranno sempre gli stessi. A pagare saranno i cittadini onesti.
La Lega Nord fino all’ultimo ha giurato che le pensioni non sarebbero state toccate e infatti per raggiungere l’anzianità di servizio non sarà più possibile riscattare il servizio militare o gli anni dell’Università. Come al solito la Lega Nord dice una cosa e ne fa un’altra.
Per fare cassa si mettono mano alle pensioni. Tolgono il contributo di solidarietà per i redditi superiori a 150.000 €uro l’anno e mandano in pensione, almeno un anno dopo, molti lavoratori. L’ennesima manovra che non risolve nulla ma che attacca le fasce sociali più deboli senza fare riforme strutturali per le future generazioni.
Ancora una volta a pagare sarà il popolo. Ancora una volta il popolo tace davanti a l’ennesima presa in giro. A volte mi chiedo quanto ancora saremo in grado di sopportare prima di mandarli a casa tutti a calci nel culo.
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Wikileaks: La Cina nasconde i dati sull'inquinamento
Secondo gli ultimi documenti rilasciati da Wikileaks la Cina nasconderebbe i dati sull’inquinamento atmosferico. La rivelazione proviene dall’ultimo aggiornamento del portale dell’organizzazione internazionale no profit che, ormai lontana dal clamore dei media tradizionali, continua a diffondere i “cable” interni della diplomazia americana. L’ambasciata statunitense a Guangzhou riferiva, in una comunicazione interna, che la Cina non misurerebbe l’inquinamento da Pm 2.5 per “timore delle conseguenze politiche“.
Non una semplice contraffazione dei dati, ma la decisione di evitare l’avvio di un programma di monitoraggio e, in caso contrario, l’indicazione di non diffonderne le risultanze. Un esempio? Nel distretto industriale di Guangdong i livelli di Pm 2.5 nel 2006 erano fra 5 e 10 volte superiori a quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma questi dati non vennero mai diffusi pubblicamente e rimanere nella cerchia di pochi ricercatori e politici.
In un documento datato 19 settembre 2006 si legge:
Fonte Articolo
Non una semplice contraffazione dei dati, ma la decisione di evitare l’avvio di un programma di monitoraggio e, in caso contrario, l’indicazione di non diffonderne le risultanze. Un esempio? Nel distretto industriale di Guangdong i livelli di Pm 2.5 nel 2006 erano fra 5 e 10 volte superiori a quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma questi dati non vennero mai diffusi pubblicamente e rimanere nella cerchia di pochi ricercatori e politici.
In un documento datato 19 settembre 2006 si legge:
Academics and research scientists in Guangdong, who are increasingly concerned about the region’s serious air pollution, but feel pressured to tone down their comments lest they face cuts in research funding … Scientists acknowledge that lack of transparency for existing air pollution data is a major problem both for research and policy making.Il problema dell’inquinamento veniva dunque insabbiato e nascosto, nonostante le preoccupazioni dei pochi a conoscenza di quei numeri.
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lunedì 29 agosto 2011
Manovra: indietro tutta
Ecco come potrebbe cambiare la manovra economica del governo presentata lo scorso 12 agosto ed attaccata da tutti in questi 17 giorni d’estate: maggioranza ed opposizione. Queste che seguono dovrebbero essere le principali modifiche che la maggioranza proporrà per la discussione alle due camere del Parlamento.
Cominciamo dall’articolo 8. La manovra stabilisce che, con un accordo sottoscritto dalle associazioni dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale o di quelle operanti in azienda, diversamente da quanto dice l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il lavoratore licenziato non ha diritto al reintegro, ma a un congruo indennizzo economico, esclusi i licenziamenti discriminatori o quelli delle lavoratrici in concomitanza del matrimonio. La norma potrebbe essere modificata, consentendo la deroga solo in casi di eccezionale gravità.
La seconda ipotesi di modifica è quella dell’Iva, la cui aliquota del 20 per cento potrebbe essere aumentata di un punto e portata quindi al 21%. Nessun aumento per le aliquote agevolate dal 4 per cento e del 10 per cento. Il gettito sarebbe di 4 miliardi di euro l’anno. Con quanto ricavato dall’aumento dell’IVA si potrebbe provvedere a ridurre i tagli a Comuni ed enti locali. Il ministro Maroni ha annunciato un alleggerimento dei tagli pari a tre miliardi di euro.
Anche il contributo di solidarietà forse eliminato o quanto meno verrà rimesso mano alla sua revisione. In questo caso i redditi interessati al contributo sarebbero quelli al di sopra dei 200 mila euro annui.
La Lega ha ottenuto lo stralcio delle norme sul taglio delle province con meno di 300 mila abitanti e sull’accorpamento dei 1970 piccoli comuni con meno di mille abitanti. Le norme saranno inserite in un disegno costituzionale più ampio, che includa tutta la riforma dell’architettura istituzionale, compreso il dimezzamento dei parlamentari.
Un’altra idea della Lega è quella di far pagare una tassa da far pagare sui beni di lusso qualora il loro valore risultasse superiore o incompatibile con le tasse pagate nell’anno precedente. E’ la cosiddetta “patrimoniale sugli evasori”
Fonte Articolo
Cominciamo dall’articolo 8. La manovra stabilisce che, con un accordo sottoscritto dalle associazioni dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale o di quelle operanti in azienda, diversamente da quanto dice l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il lavoratore licenziato non ha diritto al reintegro, ma a un congruo indennizzo economico, esclusi i licenziamenti discriminatori o quelli delle lavoratrici in concomitanza del matrimonio. La norma potrebbe essere modificata, consentendo la deroga solo in casi di eccezionale gravità.
La seconda ipotesi di modifica è quella dell’Iva, la cui aliquota del 20 per cento potrebbe essere aumentata di un punto e portata quindi al 21%. Nessun aumento per le aliquote agevolate dal 4 per cento e del 10 per cento. Il gettito sarebbe di 4 miliardi di euro l’anno. Con quanto ricavato dall’aumento dell’IVA si potrebbe provvedere a ridurre i tagli a Comuni ed enti locali. Il ministro Maroni ha annunciato un alleggerimento dei tagli pari a tre miliardi di euro.
Anche il contributo di solidarietà forse eliminato o quanto meno verrà rimesso mano alla sua revisione. In questo caso i redditi interessati al contributo sarebbero quelli al di sopra dei 200 mila euro annui.
La Lega ha ottenuto lo stralcio delle norme sul taglio delle province con meno di 300 mila abitanti e sull’accorpamento dei 1970 piccoli comuni con meno di mille abitanti. Le norme saranno inserite in un disegno costituzionale più ampio, che includa tutta la riforma dell’architettura istituzionale, compreso il dimezzamento dei parlamentari.
Un’altra idea della Lega è quella di far pagare una tassa da far pagare sui beni di lusso qualora il loro valore risultasse superiore o incompatibile con le tasse pagate nell’anno precedente. E’ la cosiddetta “patrimoniale sugli evasori”
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Un’ipotesi d’Europa
Quella che vi proponiamo è un’opinione. Magari fantasiosa, magari un po’ fantapolitica, magari non tiene conto di alcune differenze di etnia, ma è autorevole ed è una tra le tante che circolano di questi tempi nel Vecchio Continente, sul futuro dell’Europa, su come poter dare una diversa sistemazione alla comunità degli stati europei ed a quelli che tendono a voler entrare nella federazione. E’ una riflessione di Gunnar Heinsohn, nato nel 1943, un sociologo ed economista tedesco, professore onorario di pedagogia sociale all’Università di Brema, dove ha diretto l’Istituto Raphael-Lemkin di ricerca sul genocidio. Si occupa soprattutto di teoria della storia e della civiltà. Nel maggio di quest’anno ha scritto questo articolo per Die Welt, uno dei maggiori quotidiani tedeschi conservatori. Lo abbiamo tratto dalla rivista on line www.internazionale.it e ve lo proponiamo perché possiate farvi un’idea.
“Una federazione di ricche ed efficienti regioni industriali a nord, un’unione mediterranea finalmente libera dal rigore mitteleuropeo a sud. Per risolvere le incompatibilità strutturali in seno all’Ue le ipotesi alternative non mancano. Solo il 40 per cento dei tedeschi vede il proprio futuro in Europa, e appena il 25 per cento ha ancora fiducia nelle sue istituzioni. Questo sondaggio è la risposta ai venticinque miliardi di euro inviati da Berlino ai proprietari delle banche greche. Alle spalle non c’è una ristrettezza di vedute nazionalista. Il sud della Germania infatti sborsa poco volentieri per i cittadini di Atene, Lisbona o Dublino esattamente come per quelli di Brema o di Essen.
È solo lo spauracchio del nazionalismo a tenere l’Europa ancora in piedi. Lo sfruttamento attraverso i trasferimenti monetari è mille volte meglio della guerra, ripetono i nostri leader. Ma per la prima volta nell’ultimo mezzo millennio l’Europa può considerarsi post-nazionale. Con il crollo dei tassi di crescita manca il personale per scagliarsi sanguinosamente l’uno sull’altro. L’unione non è un mezzo per impedire la guerra, ma una simpatica conseguenza dell’incapacità di farla.
Auspicabilmente, in futuro il ridisegno dell’Europa avverrà oltre l’idea di nazione, di religione e di tradizione. Nell’area nordica, come aveva proposto già nel 2009 lo storico svedese Gunnar Wetterberg, potrebbe rinascere l’unione di Kalmar – che comprenderebbe Islanda, Danimarca, Groenlandia, Novegia, Svezia, Finlandia e possibilmente Estonia. Con 3,5 milioni di chilometri quadrati e 26 milioni di abitanti sarebbe l’ottava potenza economica mondiale. Candidati da annettere successivamente sarebbero i Paesi Bassi e le Fiandre. Un patto con la Gran Bretagna trasformerebbe il Mare del Nord in un Mare Nostrum, creando un partner per Usa e Canada con il quale l’Atlantico settentrionale diventerebbe inattaccabile.
Un modello è la Svizzera, lo stato volontaristico e armonico dove i ginevrini non sono francesi, i ticinesi non sono italiani e gli zurighesi non sono tedeschi. Chi vuole cambiare vicini può partecipare con i confederati alla costruzione di uno spazio economico e monetario ottimale, dove persino il tasso delle nascite non è in deficit. Sovvenzioni per colmare le differenze di ricchezza non ce ne sono. Mentre i difensori dei trasferimenti monetari di Berlino e Brema escogitano in continuazione nuovi affondi nelle borse degli altri, i cantoni svizzeri guadagnano attraendo aziende innovative o moltiplicando la forza lavoro qualificata. Eppure anche lì aiutano i loro bisognosi, e stanno probabilmente meglio che in Germania.
Per l’Ocse già nel 2009 la Svizzera era il campione dell’innovazione, e nel biennio 2010/2011 si è guadagnata il primo posto nell’Indice della competitività globale. La nuova federazione dovrebbe prendere dall’Italia tutto il nord, con una mano tesa fino a Firenze e Urbino. Verso est dovrebbe annettersi poi la poliglotta Slovenia. Con settanta milioni di abitanti su 450mila chilometri quadrati, l’insieme diventerebbe la quarta potenza globale, dopo Usa, Cina e Giappone.
Con l’Unione del Nord e la Confederazione delle Alpi anche le regioni che oggi sembrano irrecuperabili riceverebbero una seconda chance. Invece di miliardi servirebbero semplicemente piani per dare ad ognuno amo ed esca con cui procacciarsi il proprio pesce quotidiano.
Poveri ma belli
Dopo le inevitabili bancarotte, Portogallo, Spagna, Italia del sud, i paesi slavi dell’Adriatico e la Grecia potrebbero unirsi in una federazione mediterranea con più di 100 milioni di abitanti, che con energia solare, alimentazione biologica e attrazioni culturali troverebbe il suo giro d’affari. Con l’inclusione di Israele ci sarebbe anche l’arsenale militare necessario, data la vicinanza all’area islamica.
Il resto del Baltico, insieme alla Polonia e alle “aspiranti Ue” Bielorussia e Ucraina, rassomiglierebbe come perimetro alla Confederazione Polacco-Lituana, spartita nel 1795 tra Berlino, Vienna e San Pietroburgo. Una nuova versione della Confederazione, con 110 milioni di persone, oggi non avrebbe più paura della Russia, che forse andrebbe in declino ancora più in fretta.
La Francia potrebbe andare da sola, o forse con il resto della Germania, riunite dallo spauracchio dell’“Eurabia”. Ma in entrambi i territori si prevedono tempi duri per l’educazione, con un 20-25 per cento dei giovani che sfuggirà al sistema scolastico. Se il problema dovesse essere superato e le scuole franco-tedesche iniziassero a sfornare genietti, questo asse Parigi-Berlino scriverebbe una nuova pagina della storia.
Marxisti, ecologisti, socialisti e seguaci dei profeti si raccoglierebbero sotto la bandiera rosso-verde-rosso-verde, entusiasti di un tale arcobaleno multi-culturale in salsa high tech. E nessuno dovrà più essere forzato, perché si troverebbe davanti tutte le opzioni possibili. Solo lo stato nazionale finirà per essere dimenticato. Gli rimangono fedeli solo gli irriducibili di destra e sinistra, i primi a sognare il potere perduto e gli altri trasferimenti monetari senza fine.”
Gunnar Heinsohn – Die Welt, Berlino
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“Una federazione di ricche ed efficienti regioni industriali a nord, un’unione mediterranea finalmente libera dal rigore mitteleuropeo a sud. Per risolvere le incompatibilità strutturali in seno all’Ue le ipotesi alternative non mancano. Solo il 40 per cento dei tedeschi vede il proprio futuro in Europa, e appena il 25 per cento ha ancora fiducia nelle sue istituzioni. Questo sondaggio è la risposta ai venticinque miliardi di euro inviati da Berlino ai proprietari delle banche greche. Alle spalle non c’è una ristrettezza di vedute nazionalista. Il sud della Germania infatti sborsa poco volentieri per i cittadini di Atene, Lisbona o Dublino esattamente come per quelli di Brema o di Essen.
È solo lo spauracchio del nazionalismo a tenere l’Europa ancora in piedi. Lo sfruttamento attraverso i trasferimenti monetari è mille volte meglio della guerra, ripetono i nostri leader. Ma per la prima volta nell’ultimo mezzo millennio l’Europa può considerarsi post-nazionale. Con il crollo dei tassi di crescita manca il personale per scagliarsi sanguinosamente l’uno sull’altro. L’unione non è un mezzo per impedire la guerra, ma una simpatica conseguenza dell’incapacità di farla.
Auspicabilmente, in futuro il ridisegno dell’Europa avverrà oltre l’idea di nazione, di religione e di tradizione. Nell’area nordica, come aveva proposto già nel 2009 lo storico svedese Gunnar Wetterberg, potrebbe rinascere l’unione di Kalmar – che comprenderebbe Islanda, Danimarca, Groenlandia, Novegia, Svezia, Finlandia e possibilmente Estonia. Con 3,5 milioni di chilometri quadrati e 26 milioni di abitanti sarebbe l’ottava potenza economica mondiale. Candidati da annettere successivamente sarebbero i Paesi Bassi e le Fiandre. Un patto con la Gran Bretagna trasformerebbe il Mare del Nord in un Mare Nostrum, creando un partner per Usa e Canada con il quale l’Atlantico settentrionale diventerebbe inattaccabile.
Un modello è la Svizzera, lo stato volontaristico e armonico dove i ginevrini non sono francesi, i ticinesi non sono italiani e gli zurighesi non sono tedeschi. Chi vuole cambiare vicini può partecipare con i confederati alla costruzione di uno spazio economico e monetario ottimale, dove persino il tasso delle nascite non è in deficit. Sovvenzioni per colmare le differenze di ricchezza non ce ne sono. Mentre i difensori dei trasferimenti monetari di Berlino e Brema escogitano in continuazione nuovi affondi nelle borse degli altri, i cantoni svizzeri guadagnano attraendo aziende innovative o moltiplicando la forza lavoro qualificata. Eppure anche lì aiutano i loro bisognosi, e stanno probabilmente meglio che in Germania.
Per l’Ocse già nel 2009 la Svizzera era il campione dell’innovazione, e nel biennio 2010/2011 si è guadagnata il primo posto nell’Indice della competitività globale. La nuova federazione dovrebbe prendere dall’Italia tutto il nord, con una mano tesa fino a Firenze e Urbino. Verso est dovrebbe annettersi poi la poliglotta Slovenia. Con settanta milioni di abitanti su 450mila chilometri quadrati, l’insieme diventerebbe la quarta potenza globale, dopo Usa, Cina e Giappone.
Con l’Unione del Nord e la Confederazione delle Alpi anche le regioni che oggi sembrano irrecuperabili riceverebbero una seconda chance. Invece di miliardi servirebbero semplicemente piani per dare ad ognuno amo ed esca con cui procacciarsi il proprio pesce quotidiano.
Poveri ma belli
Dopo le inevitabili bancarotte, Portogallo, Spagna, Italia del sud, i paesi slavi dell’Adriatico e la Grecia potrebbero unirsi in una federazione mediterranea con più di 100 milioni di abitanti, che con energia solare, alimentazione biologica e attrazioni culturali troverebbe il suo giro d’affari. Con l’inclusione di Israele ci sarebbe anche l’arsenale militare necessario, data la vicinanza all’area islamica.
Il resto del Baltico, insieme alla Polonia e alle “aspiranti Ue” Bielorussia e Ucraina, rassomiglierebbe come perimetro alla Confederazione Polacco-Lituana, spartita nel 1795 tra Berlino, Vienna e San Pietroburgo. Una nuova versione della Confederazione, con 110 milioni di persone, oggi non avrebbe più paura della Russia, che forse andrebbe in declino ancora più in fretta.
La Francia potrebbe andare da sola, o forse con il resto della Germania, riunite dallo spauracchio dell’“Eurabia”. Ma in entrambi i territori si prevedono tempi duri per l’educazione, con un 20-25 per cento dei giovani che sfuggirà al sistema scolastico. Se il problema dovesse essere superato e le scuole franco-tedesche iniziassero a sfornare genietti, questo asse Parigi-Berlino scriverebbe una nuova pagina della storia.
Marxisti, ecologisti, socialisti e seguaci dei profeti si raccoglierebbero sotto la bandiera rosso-verde-rosso-verde, entusiasti di un tale arcobaleno multi-culturale in salsa high tech. E nessuno dovrà più essere forzato, perché si troverebbe davanti tutte le opzioni possibili. Solo lo stato nazionale finirà per essere dimenticato. Gli rimangono fedeli solo gli irriducibili di destra e sinistra, i primi a sognare il potere perduto e gli altri trasferimenti monetari senza fine.”
Gunnar Heinsohn – Die Welt, Berlino
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giovedì 4 agosto 2011
Mangiare e non inquinare ecco il menu a impatto zero
DALLA LISTA per il supermercato cancellate, nell'ordine: costolette d'agnello, bistecca e hamburger, mozzarella e parmigiano, prosciutto e salmone (almeno quello che i portafogli normali si possono permettere: d'allevamento). Scrivete, invece: tacchino, pollo, tonno, uova. Questo, almeno, se avete a cuore il problema dell'effetto serra e le sorti del pianeta.
L'elenco, infatti, non ha nulla a che vedere con le meraviglie della dieta mediterranea (che sono, comunque, un beneficio collaterale) ed è stilato in base alle emissioni di anidride carbonica dei relativi allevamenti. È la "Guida del carnivoro al cambiamento climatico", preparata dall'Environmental Working Group, un'organizzazione ambientalista americana, sommando le emissioni nell'intera fase produttiva della carne: dal mangime al trasporto al supermercato.
Pecore, bovini (nella doppia veste di fettine e derivati del latte), maiali e salmoni hanno un impatto climatico superiore a quello dei polli. Nutrirli, allevarli, macellarli e venderli richiede pesticidi, fertilizzanti chimici, combustibile, mangimi e acqua.
Per agnelli, manzi e vacche, tutti ruminanti, bisogna anche aggiungere il metano che producono sia la loro digestione che il letame. Il metano è un gas serra più potente dell'anidride carbonica. Si disperde nel giro di 12 anni, mentre la CO2 continua ad agire per un paio di secoli. Fino a che resta nell'atmosfera, però, riscalda il pianeta fino a 25 volte di più dell'anidride carbonica.
L'Ewg ha in mente, soprattutto, i consumatori americani, i maggiori divoratori di bistecche e hamburger del pianeta: mangiano quasi il doppio di carne degli europei. Ma il problema è ormai mondiale: fra il 1971 e il 2010, la popolazione globale è aumentata dell'81 per cento, ma il consumo di carne è triplicato, grazie alla dieta più ricca che reclamano le classi medie in espansione dei paesi emergenti, cinesi in testa.
A questo ritmo, il consumo di carne raddoppierebbe ancora, entro il 2050, aumentando la pressione dell'effetto serra. Tutti vegetariani, allora? E vegetariani integralisti, per di più, capaci di rinunciare anche allo stracchino e allo yogurt? L'Ewg non si fa illusioni. Del resto, la "Guida" è destinata a chi vuole continuare a mangiare carne.
L'appello, dunque, è ad una sorta di reintroduzione del "venerdì di magro". Un giorno alla settimana senza fettina. I benefici, in termini di emissioni di gas serra, assicura la Guida, sarebbero immediati.
Mangiare un hamburger in meno a settimana, per un anno, infatti, calcolato in CO2, corrisponde a 500 chilometri in meno della vostra auto. O, anche, ad asciugare la biancheria al sole, almeno una volta su due, invece che nell'asciugatrice.
Ma, se dalla carne macinata saliamo a tagli più pregiati, i benefici si moltiplicano. Per una famiglia di quattro persone, rinunciare a carne e formaggio una volta a settimana, per un anno, equivale ad azzerare le emissioni della loro auto per cinque settimane. Se la carne a cui rinunciano è la bistecca, le emissioni risparmiate sono quelle di tre mesi in macchina. Se, poi, fosse l'intera popolazione americana a fare a meno di carne e formaggio per un giorno a settimana, il risparmio equivarrebbe alla CO2 emessa guidando per 150 miliardi di chilometri. Come togliere dalla strada, per un anno, 7,6 milioni di automobili.
Lo studio dell'Environmental Working Group si basa esclusivamente sul confronto fra quantità di carne ed emissioni di gas serra e questo spiega alcune sorprese nei risultati. L'abbacchio capeggia la lista, nonostante non sia una carne particolarmente diffusa, perché la quantità di carne che si ricava da un agnello è poca rispetto all'animale, relativamente a quanto avviene con un vitello.
Un discorso analogo vale per il salmone di cui, soprattutto se affumicato e confezionato, si utilizza solo il filetto. D'altro canto, l'invito a mangiare, invece, tonno, fa a pugni con l'allarme degli ambientalisti per il pericolo di estinzione di un pesce sovrapescato: forse lo si può sostituire con gli sgombri.
Ma, per rasserenare i complessi di colpa degli ambientalisti amanti delle bistecche, l'avvertenza più importante è che i calcoli dell'Ewg fanno riferimento agli Stati Uniti e ai metodi di allevamento americani e, in generale, di buona parte dell'Occidente. Cioè agli allevamenti intensivi e industriali, quelli con gli animali confinati nelle stalle e allevati a ritmi accelerati, grazie ad un mangime fatto non d'erba, ma di cereali.
Nella catena produttiva, è nelle coltivazioni di queste granaglie (soia e granturco, in particolare) che incidono, in termini di emissioni, pesticidi, fertilizzanti, gasolio per i trattori e il trasporto. È una quantità enorme di cereali: oltre 600 milioni di tonnellate vengono destinati, ogni anno, all'alimentazione dei bovini nelle stalle.
Il fenomeno riguarda, quasi esclusivamente, i paesi industrializzati. Due terzi di quei 600 milioni di tonnellate di mangime vanno, infatti, nelle stalle dei paesi ricchi. L'America, soprattutto, che ne consuma un quarto, 150 milioni di tonnellate di soia e granturco per il suo bestiame. Con gli allevamenti industriali si ottiene più carne, ma, in termini generali, l'uso dei cereali come mangime è inefficiente: con quei 600 milioni di tonnellate di cereali, perfettamente idonei all'uso umano, si potrebbero sfamare un miliardo e mezzo di persone.
Metà dei bovini del mondo, peraltro, vive fuori dalle stalle: l'allevamento all'aperto, a base di erba, su appezzamenti, normalmente, poco adatti alla coltivazione, taglia tutta la fase delle emissioni di gas serra, legata alla produzione dei cereali. In più, al contrario dei mangimi a base di soia o granturco, invece di sottrarre cibo all'uomo, ne aggiunge: il bovino allevato all'aperto trasforma in proteine mangiabili l'erba, che noi non possiamo mangiare.
I vantaggi non si fermano qui e riguardano direttamente le emissioni di CO2. Un recente rapporto dell'Union of Concerned Scientists sottolinea che i pascoli sottraggono anidride carbonica dall'atmosfera e la immagazzinano nel suolo, al ritmo di una tonnellata di anidride carbonica per ettaro. Il pascolo risulta tanto più efficace, sotto questo profilo, quanto più è ricco di piante leguminose, che migliorano la qualità dei foraggi e diminuiscono le emissioni di metano.
Secondo il rapporto, una corretta gestione dei pascoli le può ridurre fino al 30 per cento. È l'alternativa suggerita dall'Environmental Working Group ai carnivori impenitenti. Bistecche e formaggi ottenuti in questo modo costano - è vero - di più. Probabilmente, quello che il vostro portafoglio ha risparmiato con il venerdì di magro.
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L'elenco, infatti, non ha nulla a che vedere con le meraviglie della dieta mediterranea (che sono, comunque, un beneficio collaterale) ed è stilato in base alle emissioni di anidride carbonica dei relativi allevamenti. È la "Guida del carnivoro al cambiamento climatico", preparata dall'Environmental Working Group, un'organizzazione ambientalista americana, sommando le emissioni nell'intera fase produttiva della carne: dal mangime al trasporto al supermercato.
Pecore, bovini (nella doppia veste di fettine e derivati del latte), maiali e salmoni hanno un impatto climatico superiore a quello dei polli. Nutrirli, allevarli, macellarli e venderli richiede pesticidi, fertilizzanti chimici, combustibile, mangimi e acqua.
Per agnelli, manzi e vacche, tutti ruminanti, bisogna anche aggiungere il metano che producono sia la loro digestione che il letame. Il metano è un gas serra più potente dell'anidride carbonica. Si disperde nel giro di 12 anni, mentre la CO2 continua ad agire per un paio di secoli. Fino a che resta nell'atmosfera, però, riscalda il pianeta fino a 25 volte di più dell'anidride carbonica.
L'Ewg ha in mente, soprattutto, i consumatori americani, i maggiori divoratori di bistecche e hamburger del pianeta: mangiano quasi il doppio di carne degli europei. Ma il problema è ormai mondiale: fra il 1971 e il 2010, la popolazione globale è aumentata dell'81 per cento, ma il consumo di carne è triplicato, grazie alla dieta più ricca che reclamano le classi medie in espansione dei paesi emergenti, cinesi in testa.
A questo ritmo, il consumo di carne raddoppierebbe ancora, entro il 2050, aumentando la pressione dell'effetto serra. Tutti vegetariani, allora? E vegetariani integralisti, per di più, capaci di rinunciare anche allo stracchino e allo yogurt? L'Ewg non si fa illusioni. Del resto, la "Guida" è destinata a chi vuole continuare a mangiare carne.
L'appello, dunque, è ad una sorta di reintroduzione del "venerdì di magro". Un giorno alla settimana senza fettina. I benefici, in termini di emissioni di gas serra, assicura la Guida, sarebbero immediati.
Mangiare un hamburger in meno a settimana, per un anno, infatti, calcolato in CO2, corrisponde a 500 chilometri in meno della vostra auto. O, anche, ad asciugare la biancheria al sole, almeno una volta su due, invece che nell'asciugatrice.
Ma, se dalla carne macinata saliamo a tagli più pregiati, i benefici si moltiplicano. Per una famiglia di quattro persone, rinunciare a carne e formaggio una volta a settimana, per un anno, equivale ad azzerare le emissioni della loro auto per cinque settimane. Se la carne a cui rinunciano è la bistecca, le emissioni risparmiate sono quelle di tre mesi in macchina. Se, poi, fosse l'intera popolazione americana a fare a meno di carne e formaggio per un giorno a settimana, il risparmio equivarrebbe alla CO2 emessa guidando per 150 miliardi di chilometri. Come togliere dalla strada, per un anno, 7,6 milioni di automobili.
Lo studio dell'Environmental Working Group si basa esclusivamente sul confronto fra quantità di carne ed emissioni di gas serra e questo spiega alcune sorprese nei risultati. L'abbacchio capeggia la lista, nonostante non sia una carne particolarmente diffusa, perché la quantità di carne che si ricava da un agnello è poca rispetto all'animale, relativamente a quanto avviene con un vitello.
Un discorso analogo vale per il salmone di cui, soprattutto se affumicato e confezionato, si utilizza solo il filetto. D'altro canto, l'invito a mangiare, invece, tonno, fa a pugni con l'allarme degli ambientalisti per il pericolo di estinzione di un pesce sovrapescato: forse lo si può sostituire con gli sgombri.
Ma, per rasserenare i complessi di colpa degli ambientalisti amanti delle bistecche, l'avvertenza più importante è che i calcoli dell'Ewg fanno riferimento agli Stati Uniti e ai metodi di allevamento americani e, in generale, di buona parte dell'Occidente. Cioè agli allevamenti intensivi e industriali, quelli con gli animali confinati nelle stalle e allevati a ritmi accelerati, grazie ad un mangime fatto non d'erba, ma di cereali.
Nella catena produttiva, è nelle coltivazioni di queste granaglie (soia e granturco, in particolare) che incidono, in termini di emissioni, pesticidi, fertilizzanti, gasolio per i trattori e il trasporto. È una quantità enorme di cereali: oltre 600 milioni di tonnellate vengono destinati, ogni anno, all'alimentazione dei bovini nelle stalle.
Il fenomeno riguarda, quasi esclusivamente, i paesi industrializzati. Due terzi di quei 600 milioni di tonnellate di mangime vanno, infatti, nelle stalle dei paesi ricchi. L'America, soprattutto, che ne consuma un quarto, 150 milioni di tonnellate di soia e granturco per il suo bestiame. Con gli allevamenti industriali si ottiene più carne, ma, in termini generali, l'uso dei cereali come mangime è inefficiente: con quei 600 milioni di tonnellate di cereali, perfettamente idonei all'uso umano, si potrebbero sfamare un miliardo e mezzo di persone.
Metà dei bovini del mondo, peraltro, vive fuori dalle stalle: l'allevamento all'aperto, a base di erba, su appezzamenti, normalmente, poco adatti alla coltivazione, taglia tutta la fase delle emissioni di gas serra, legata alla produzione dei cereali. In più, al contrario dei mangimi a base di soia o granturco, invece di sottrarre cibo all'uomo, ne aggiunge: il bovino allevato all'aperto trasforma in proteine mangiabili l'erba, che noi non possiamo mangiare.
I vantaggi non si fermano qui e riguardano direttamente le emissioni di CO2. Un recente rapporto dell'Union of Concerned Scientists sottolinea che i pascoli sottraggono anidride carbonica dall'atmosfera e la immagazzinano nel suolo, al ritmo di una tonnellata di anidride carbonica per ettaro. Il pascolo risulta tanto più efficace, sotto questo profilo, quanto più è ricco di piante leguminose, che migliorano la qualità dei foraggi e diminuiscono le emissioni di metano.
Secondo il rapporto, una corretta gestione dei pascoli le può ridurre fino al 30 per cento. È l'alternativa suggerita dall'Environmental Working Group ai carnivori impenitenti. Bistecche e formaggi ottenuti in questo modo costano - è vero - di più. Probabilmente, quello che il vostro portafoglio ha risparmiato con il venerdì di magro.
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martedì 2 agosto 2011
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