lunedì 24 ottobre 2011
sabato 22 ottobre 2011
Occupy London fa chiudere St. Paul
La cattedrale anglicana di St. Paul a Londra è stata da oggi chiusa al pubblico a causa dei manifestanti inglesi che si sono accampati davanti alla chiesa dalla manifestazione di sabato 15 ottobre contro la finanza globale. È la prima volta che la cattedrale chiude dopo i quattro giorni di blitz nella Seconda Guerra Mondiale.
Il decano di St. Paul, Knowles Graem, ha detto che «la decisione è senza precedenti nei tempi moderni ed è stata presa a malincuore per motivi di salute e sicurezza». In una lettera aperta ha chiesto ai manifestanti di «riconoscere gli enormi problemi da affrontare in questo momento» e di «lasciare i dintorni del palazzo in modo che la cattedrale possa riaprire al più presto». St. Paul è una delle attrazioni più visitate di Londra che si sovvenziona attraverso le entrate dei turisti (820 mila persone, nel 2010).
La protesta di Londra, ispirata a “Occupy Wall Street”, è iniziata
sabato scorso a Paternoster Square, la piazza privata del quartiere
finanziario di Londra, sede locale della Borsa. I proprietari della
piazza, con un ordine del tribunale, hanno immediatamente ottenuto lo
sgombero e la polizia ha bloccato l’accesso. I manifestanti, con circa
duecento tende, hanno quindi ripiegato sul lato occidentale della
cattedrale di St. Paul creando durante la settimana un campo sempre più
stabile, con un tendone per il cibo e uno per i laboratori politici.
I manifestanti di “Occupy London” avevano trovato l’iniziale appoggio
del reverendo Gilles Fraser che aveva chiesto alla polizia di
rinunciare a formare un cordone attorno alla chiesa: «Non sentivo il
bisogno di quel tipo di protezione», aveva dichiarato.Oggi, il reverendo ha ribadito la propria posizione: «Siamo felici che le proteste di Londra siano pacifiche e, in effetti, c’è stata una buona atmosfera tra il personale della cattedrale e coloro che abitano nelle tende. C’è qualcosa di profondo nella protesta in corso». Tuttavia, ha aggiunto, «era evidente a chiunque si avvicinasse alla cattedrale che le dimensioni del campo crescevano sempre di più e che questo ci ha messo in una posizione difficile».
Le preoccupazioni dei funzionari della cattedrale non riguardano solo le dimensioni del campo e la conseguente riduzione degli accessi, ma anche la mancanza dei necessari requisiti di sicurezza delle entrate alla chiesa: «I vigili del fuoco – ha detto il reverendo – hanno fatto notare che l’accesso da e per la cattedrale è seriamente limitato. Poi c’è la questione della pubblica sicurezza. I rischi non si riferiscono solo al personale della cattedrale e ai visitatori, ma sono un pericolo potenziale anche per gli stessi manifestanti del campo».
I membri di Occupy London hanno risposto che decideranno insieme e democraticamente che cosa fare, facendo però sapere che «nelle ultime 48 ore, il campo è stato completamente ri-organizzato secondo le indicazioni date dai vigili del fuoco ed è stata anche accettata la presenza di due barriere per preservare l’accesso alla porta laterale della Cattedrale. Oggi pomeriggio ci è stato detto, in una telefonata da parte dei vigili del fuoco, che sono stati stabiliti nuovi requisiti oltre a quelli già comunicati direttamente al campo».
I manifestanti chiedono quindi che vengano specificati «con precisione» quali siano i problemi di sicurezza e credono che i timori dei funzionari della cattedrale non siano tanto legati alla sicurezza, ma di natura economica: «Crediamo che siano preoccupati per il loro numero di visitatori. Abbiamo cercato di garantire sul fatto che il nostro programma non è in conflitto con il loro, in modo che la normale gestione della Cattedrale non fosse alterata. Chiaramente, siamo anche diventati un’altra attrazione turistica alle porte della chiesa».
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venerdì 21 ottobre 2011
IL CASO/ Campiglio: ecco perché la Germania taglia le tasse anche se cala il Pil
Il
ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, e quello
dell'Economia, Philipp Roesler, hanno raggiunto un accordo di cui i
cittadini non potranno che essere entusiasti: dal gennaio 2013, saranno
abbassate le tasse, sui redditi da lavoro, di 6-7 miliardi di euro.
Contestualmente, tuttavia, il governo ha tagliato le stime di crescita
per l’anno prossimo. Dall’1,8% all’1% del Pil. Qualcosa non torna. Se
cala la crescita, infierire sui conti dello Stato con uno sgravio
fiscale sembra equivalere a darsi la zappa sui piedi. In realtà, Luigi
Campiglio, professore di Politica economica all'Università Cattolica di
Milano spiega a ilSussidiario.net che le cose non stanno
propriamente i questi termini. «Mentre è vero - dice - che, dal punto di
vista degli scambi commerciali, la maggior parte dei Paesi, compresa
l’Italia, ha un disavanzo, questo non accade in Germania». Nonostante,
quindi, le critiche giunte al governo federale dall’opposizione e dagli
alleati del Csu per esser stati tenuti all’oscuro della manovra, questa
rimane sostenibile. Anche perché sarà aumentata la soglia reddituale
sotto la quale si è dichiarati esentasse. Non solo. «La diminuzione è
possibile per una ragione poco sottolineata nel dibattito attuale»,
afferma Campiglio. «La Germania è in grado, molto più efficacemente
degli altri Paesi, di stimolare la domanda interna, grazie all’elevato e
strutturale avanzo delle partite correnti». Secondo il professore,
«questo è il risultato dei suoi successi commerciali in Cina e nei Paesi
emergenti ma, al contempo, di quelli relativi agli interscambi in
Europa». Da tempo è noto come la Germana sia tra i pochi Paesi europei
che hanno saputo cavalcare l’onda della crescita di Paesi come il
gigante asiatico, l’India e il Brasile. Ma, come spiega Campiglio, ha
saputo fare ben altro. «Per intenderci, possiamo dire che la Germania
sta all’Ue come la Cina sta agli Stati Uniti. I tedeschi importano
prodotti europei, come i cinesi quelli statunitensi, diventando così
loro finanziatori indiretti». Del resto, continuare a puntare
esclusivamente sull’export può non essere la strada migliore. «La scelta
tedesca rispecchia anche - con una certa velocità decisionale -, la
presa di coscienza del fatto che il tasso di crescita dei Paesi
emergenti sta iniziando a rallentare, pur rimanendo decisamente alto». E
in Italia?
Anche da noi sarebbe plausibile
un simile taglio? «Sette-otto miliardi, alla fine, non sono una grande
cifra. Una razionalizzazione della struttura della spesa ci
consentirebbe interventi di quell’ordine di grandezza che, rispetto alla
Germania, risulterebbero per il nostro Paese molto più significativi».
Se, quindi, le tasse non si abbassano, il motivo resta sempre lo stesso:
«Il ministro dell’Economia sostiene che non si può fare». Punto e
basta. «Eppure - conclude Campiglio -, ci sono elementi che indicano il
contrario. Basti pensare all’entità delle multe che dovremo pagare per
le infrazioni sulle quote latte o le ingenti risorse accantonate da
numerosi enti locali, non utilizzabili per colpa del patto di
stabilità».
sabato 15 ottobre 2011
Tutte le stranezze del superbollo auto
Una nuova tassa sta per ricevere il benvenuto dal nostro sistema
fiscale: si tratta del cosiddetto superbollo auto, l’imposta che si
riferisce alle autovetture più potenti e che entrerà in vigore per la
prima volta a partire dal prossimo 10 novembre. Il bollo in questione non è altro che una addizionale
che va ad applicarsi su quelle auto che hanno una potenza superiore ai
duecentoventicinque chilowatt. Peccato che, nonostante un apposito
decreto di pochi giorni fa, i punti ambigui siano ancora molti, così
come la reale efficacia di questa misura. L’intento dell’Agenzia delle Entrate
è quello di separare in maniera opportuna i flussi contabili ed ha già
predisposto un apposito modello F24 per il versamento, ma resta il fatto
che il nuovo tributo assomiglia tanto all’ennesima forzatura per
battere cassa. Se ne parlava male già prima dell’introduzione,
anche se, a ben vedere, i propositi sono interessanti, ovvero colpire
dal punto di vista fiscale le autovetture di maggiore cilindrata, quelle
più potenti e quindi anche inquinanti. Il problema sta nella
caratteristica principale del bollo, visto che esso è retrodatato: che
cosa vuol dire? Il decreto parla chiaramente di una tassa che va
applicata non al momento dell’entra in vigore ma da tre mesi prima,
quindi questo significa che il superbollo deve essere pagato anche da
coloro che hanno venduto la macchina dallo scorso mese di luglio. Come
si è potuta creare una situazione così strana? Le finalità sono giuste,
ma questa tassa di proprietà coinvolge anche quei contribuenti che non
sono più proprietari della vettura: è tutto scritto chiaramente nel
decreto, quindi non c’è nessuna forzatura o una volontà estrema di
contestare il governo. Più che altro, questa novità potrebbe fornire lo
spunto per nuove tasse retrodatate; insomma, per ora tocca alle macchine
potenti, ma in futuro cosa si rischia? Il malcontento è diffuso, un
tavolo tra le parti, associazioni dei consumatori comprese, è quantomeno
necessario, altrimenti la confusione e l’iniquità regneranno sovrane.
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venerdì 14 ottobre 2011
Non fate vedere questo sondaggio a Berlusconi
Ormai è un giudizio tombale quello che mostra questo sondaggio mostrato a Ballarò.
Di Berlusconi l'Italia non ha più bisogno, il "più amato al mondo" non è in grado di Governare l'Italia, anzi per mio giudizio, non è mai stato capace!
Quel 61% pesa come macigni, perchè, non solo contiene voti di Comunisti, ma contiene anche voti di chi fino alle scorse elezioni l'hanno votato e sostenuto, in quel 61% c'è il voto di persone di destra che di Berlusconi non ne possono più.. è finito l'Incanto.. Sono finiti i giorni in cui lui si diceva "sono invincibile".. e nessuno gli crede più quando dice:
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Di Berlusconi l'Italia non ha più bisogno, il "più amato al mondo" non è in grado di Governare l'Italia, anzi per mio giudizio, non è mai stato capace!
Quel 61% pesa come macigni, perchè, non solo contiene voti di Comunisti, ma contiene anche voti di chi fino alle scorse elezioni l'hanno votato e sostenuto, in quel 61% c'è il voto di persone di destra che di Berlusconi non ne possono più.. è finito l'Incanto.. Sono finiti i giorni in cui lui si diceva "sono invincibile".. e nessuno gli crede più quando dice:
«Sono il migliore, il più amato, il più intelligente.. L'attività del governo ha del miracoloso..e se gli italiani sapessero ciò che abbiamo fatto dovrebbero farci un monumento.. Il presidente del Consiglio italiano in tutti i consessi internazionali è quello più esperto»
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venerdì 7 ottobre 2011
Il premier: "Un partito Forza gnocca"
''Forza Gnocca'', la notizia sui siti stranieri
vedi le altre foto delle notizie
''Il nome che avrebbe più successo mi dicono sia quello di Forza Gnocca…''. La frase di Silvio Berlusconi rivolta a un gruppetto di parlamentari del Popolo della Libertà, parlando di un ipotetico restyling del partito di governo, viene a poche ore riportata sui principali siti dei quotidiani esteri come il blasonato quotidiano francese ''Le Monde'', il tedesco ''Welt on line'', l'inglese ''Mail on line'' e la tv americana CNN
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Chi uccide l’auto elettrica
Tutte le case automobilistiche mondiali sono impegnate in percorsi
ecologici, molti dei quali includono lo sviluppo dell’auto elettrica.
L’assente probabilmente più noto in materia è FIAT, come più volte chiarito da Marchionne, ma anche altri.
A parole, tutti concordano che l’auto elettrica è una di quelle cose che farebbe bene all’ambiente. Nei fatti, pochissimi ne comprano una. Nonostante gli incentivi, infatti, dall’inizio dell’anno infatti le vendite di Nissan Leaf e Chevrolet Volt – campioni della categoria – negli Stati Uniti si sono fermate a solamente circa 10mila unità, in Italia i veicoli elettrici immatricolati nel 2011 sono stati 103. Per darvi un paragone, negli USA si vendono circa 10 milioni di veicoli all’anno mentre solo in Italia si vendono quasi 200mila FIAT Punto all’anno (1).
Non è la prima volta che l’auto elettrica è sembrata pronta al debutto. All’inizio degli anni 90, General Motors, grazie ai sussidi dell’amministrazione Clinton, introdusse sul mercato americano l’elettrica EV1. Ma nonostante le numerose richieste di noleggio e i feeback positivi degli utenti, i 5000 pre-ordini si tramutarono in solo 50 acquirenti, motivo che indusse GM a sospendere la produzione del veicolo, generando furiose polemiche con ambientalisti e complottisti.
Le previsioni elaborate dai centri di ricerca sul numero di veicoli elettrici in circolazione nel futuro prossimo sono una di quelle cose dove regna il disaccordo più totale. Per il 2020, infatti, gli studi prevedono una diffusione dell’auto elettrica (o ibrida plug-in) che va dallo zerovirgola fino al 25 per cento del totale. Per il 2050 ancora peggio: le percentuali di vendite stimate variano dal 20 all’80 per cento. Questo accade perché le stime vengono generalmente fatte ragionando sul fronte della domanda. Si stima cioè la disponibilità dei consumatori a pagare di più per prodotti ecologici e si tramuta questa disponibilità in numero di veicoli venduti. Coi risultati di cui sopra.
Il problema è che il prezzo, anche se conta, non è tutto. Ragionando sul fronte dell’energia le cose diventano molto più chiare. Insomma, vendite al 10 o 20 per cento del totale del mercato significa considerare l’auto elettrica un prodotto di massa, maturo al pari di GPL e metano, e come tale deve essere attrezzato per autonomia, infrastrutture e consumi. La domanda da porsi dunque è: quali sono le condizioni tecnologiche per una motorizzazione di massa basata sull’auto elettrica?
Continua a leggere l'articolo
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A parole, tutti concordano che l’auto elettrica è una di quelle cose che farebbe bene all’ambiente. Nei fatti, pochissimi ne comprano una. Nonostante gli incentivi, infatti, dall’inizio dell’anno infatti le vendite di Nissan Leaf e Chevrolet Volt – campioni della categoria – negli Stati Uniti si sono fermate a solamente circa 10mila unità, in Italia i veicoli elettrici immatricolati nel 2011 sono stati 103. Per darvi un paragone, negli USA si vendono circa 10 milioni di veicoli all’anno mentre solo in Italia si vendono quasi 200mila FIAT Punto all’anno (1).
Non è la prima volta che l’auto elettrica è sembrata pronta al debutto. All’inizio degli anni 90, General Motors, grazie ai sussidi dell’amministrazione Clinton, introdusse sul mercato americano l’elettrica EV1. Ma nonostante le numerose richieste di noleggio e i feeback positivi degli utenti, i 5000 pre-ordini si tramutarono in solo 50 acquirenti, motivo che indusse GM a sospendere la produzione del veicolo, generando furiose polemiche con ambientalisti e complottisti.
Le previsioni elaborate dai centri di ricerca sul numero di veicoli elettrici in circolazione nel futuro prossimo sono una di quelle cose dove regna il disaccordo più totale. Per il 2020, infatti, gli studi prevedono una diffusione dell’auto elettrica (o ibrida plug-in) che va dallo zerovirgola fino al 25 per cento del totale. Per il 2050 ancora peggio: le percentuali di vendite stimate variano dal 20 all’80 per cento. Questo accade perché le stime vengono generalmente fatte ragionando sul fronte della domanda. Si stima cioè la disponibilità dei consumatori a pagare di più per prodotti ecologici e si tramuta questa disponibilità in numero di veicoli venduti. Coi risultati di cui sopra.
Il problema è che il prezzo, anche se conta, non è tutto. Ragionando sul fronte dell’energia le cose diventano molto più chiare. Insomma, vendite al 10 o 20 per cento del totale del mercato significa considerare l’auto elettrica un prodotto di massa, maturo al pari di GPL e metano, e come tale deve essere attrezzato per autonomia, infrastrutture e consumi. La domanda da porsi dunque è: quali sono le condizioni tecnologiche per una motorizzazione di massa basata sull’auto elettrica?
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mercoledì 5 ottobre 2011
Perché Wikipedia si autocensura
L’edizione italiana di Wikipedia ha sostituito tutte le pagine con un questo conunicato.
Nel ddl intercettazioni c’è anche il comma 29, cosiddetto ammazza blog. Chiunque decida di aprire un blog o una pagina personale con dominio di terzo livello, dovrà rispettare le stesse regole che deve già seguire una testata giornalistica.
Se il decreto verrà approvato, basterà una e-mail per obbligare a modificare o rimuovere un contenuto “caldo” e se non si agisce in 48 ore, scatta una sanzione che varia da 7.500 a 12.500 euro. Questo decreto mette a serio rischio siti importanti come Wikipedia, infatti, chiunque potrebbe chiedere una rettifica delle informazioni presente sull’ enciclopedia. Segue il comunicato.
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Cara lettrice, caro lettore,Il decreto ammazza blog
in queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero.
Negli ultimi 10 anni, Wikipedia è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. Una nuova e immensa enciclopedia multilingue, che può essere consultata in qualunque momento senza spendere nulla.
Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto — neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti — rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni.
Tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine.
Purtroppo, la valutazione della “lesività” di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato.
Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiederne non solo la rimozione, ma anche la sostituzione con una sua “rettifica”, volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.
Nel ddl intercettazioni c’è anche il comma 29, cosiddetto ammazza blog. Chiunque decida di aprire un blog o una pagina personale con dominio di terzo livello, dovrà rispettare le stesse regole che deve già seguire una testata giornalistica.
Se il decreto verrà approvato, basterà una e-mail per obbligare a modificare o rimuovere un contenuto “caldo” e se non si agisce in 48 ore, scatta una sanzione che varia da 7.500 a 12.500 euro. Questo decreto mette a serio rischio siti importanti come Wikipedia, infatti, chiunque potrebbe chiedere una rettifica delle informazioni presente sull’ enciclopedia. Segue il comunicato.
In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l’intera pagina è stata rimossa.Un decreto che violerà la libertà di espressione, soprattutto a quei blogger, che non avendo l’appoggio di una testata editoriale, preferiranno chiudere il proprio blog pur di dover pagare una sanzione per uno spazio web, che in molti casi non garantisce un guadagno economico da giustificare una causa legale.
L’obbligo di pubblicare fra i nostri contenuti le smentite previste dal comma 29, senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica, costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell’Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l’abbiamo conosciuta fino a oggi.
Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell’onore e dell’immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall’articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione.
Con questo comunicato, vogliamo mettere in guardia i lettori dai rischi che discendono dal lasciare all’arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine e del proprio decoro invadendo la sfera di legittimi interessi altrui. In tali condizioni, gli utenti della Rete sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per “non avere problemi”.
Vogliamo poter continuare a mantenere un’enciclopedia libera e aperta a tutti. La nostra voce è anche la tua voce: Wikipedia è già neutrale, perché neutralizzarla?
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