Il
ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, e quello
dell'Economia, Philipp Roesler, hanno raggiunto un accordo di cui i
cittadini non potranno che essere entusiasti: dal gennaio 2013, saranno
abbassate le tasse, sui redditi da lavoro, di 6-7 miliardi di euro.
Contestualmente, tuttavia, il governo ha tagliato le stime di crescita
per l’anno prossimo. Dall’1,8% all’1% del Pil. Qualcosa non torna. Se
cala la crescita, infierire sui conti dello Stato con uno sgravio
fiscale sembra equivalere a darsi la zappa sui piedi. In realtà, Luigi
Campiglio, professore di Politica economica all'Università Cattolica di
Milano spiega a ilSussidiario.net che le cose non stanno
propriamente i questi termini. «Mentre è vero - dice - che, dal punto di
vista degli scambi commerciali, la maggior parte dei Paesi, compresa
l’Italia, ha un disavanzo, questo non accade in Germania». Nonostante,
quindi, le critiche giunte al governo federale dall’opposizione e dagli
alleati del Csu per esser stati tenuti all’oscuro della manovra, questa
rimane sostenibile. Anche perché sarà aumentata la soglia reddituale
sotto la quale si è dichiarati esentasse. Non solo. «La diminuzione è
possibile per una ragione poco sottolineata nel dibattito attuale»,
afferma Campiglio. «La Germania è in grado, molto più efficacemente
degli altri Paesi, di stimolare la domanda interna, grazie all’elevato e
strutturale avanzo delle partite correnti». Secondo il professore,
«questo è il risultato dei suoi successi commerciali in Cina e nei Paesi
emergenti ma, al contempo, di quelli relativi agli interscambi in
Europa». Da tempo è noto come la Germana sia tra i pochi Paesi europei
che hanno saputo cavalcare l’onda della crescita di Paesi come il
gigante asiatico, l’India e il Brasile. Ma, come spiega Campiglio, ha
saputo fare ben altro. «Per intenderci, possiamo dire che la Germania
sta all’Ue come la Cina sta agli Stati Uniti. I tedeschi importano
prodotti europei, come i cinesi quelli statunitensi, diventando così
loro finanziatori indiretti». Del resto, continuare a puntare
esclusivamente sull’export può non essere la strada migliore. «La scelta
tedesca rispecchia anche - con una certa velocità decisionale -, la
presa di coscienza del fatto che il tasso di crescita dei Paesi
emergenti sta iniziando a rallentare, pur rimanendo decisamente alto». E
in Italia?
Anche da noi sarebbe plausibile
un simile taglio? «Sette-otto miliardi, alla fine, non sono una grande
cifra. Una razionalizzazione della struttura della spesa ci
consentirebbe interventi di quell’ordine di grandezza che, rispetto alla
Germania, risulterebbero per il nostro Paese molto più significativi».
Se, quindi, le tasse non si abbassano, il motivo resta sempre lo stesso:
«Il ministro dell’Economia sostiene che non si può fare». Punto e
basta. «Eppure - conclude Campiglio -, ci sono elementi che indicano il
contrario. Basti pensare all’entità delle multe che dovremo pagare per
le infrazioni sulle quote latte o le ingenti risorse accantonate da
numerosi enti locali, non utilizzabili per colpa del patto di
stabilità».
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