sabato 3 dicembre 2011

“Servizio Pubblico” fa saltare il sistema Auditel

Il programma condotto da Michele Santoro si conferma il primo talk d'informazione del giovedì e in assoluto la terza scelta dei telespettatori. Ma continuano i misteri sulla misurazione dei dati d'ascolto: se complessivamente è abbastanza affidabile si fatica a conteggiare le singole emittenti.


Stavolta l’Auditel ha comunicato l’ascolto di Servizio Pubblico senza ritardi. E la platea di Michele Santoro è praticamente la stessa di sette giorni fa: 2 milioni e 19 mila spettatori (7 mila in più), 8 per cento di share (+ 15 per cento in Rete), ancora la terza televisione italiana e il primo programma d’informazione del giovedì sera.

Il numero complessivo di utenti, che somma i risultati di Sky e di 26 emittenti locali, nasconde le debolezze strutturali di Auditel. La prima osservazione, che i centri media definiscono anomala, è la corsa a singhiozzo di Sky: una volta cresce, una volta scende, poi ricresce. Rispetto a sette giorni fa, Sky ha guadagnato 100mila telespettatori e le locali, di conseguenza, ne perdono altrettanti. Con una forma di federalismo televisivo: un giovedì c’è più pubblico al Sud e meno al Nord, e viceversa, e sempre il contrario.

PRENDIAMO le statistiche di ascolto di giovedì 1 dicembre, e confrontiamo la quinta puntata con la quarta: in Umbria e Toscana la trasmissione di Santoro raccoglie 25 mila utenti in più; in Calabria e Sicilia mancano 50 mila spettatori all’appello, ma in Friuli (Rttr) Servizio Pubblico va forte passando da 20 mila a 66 mila spettatori. Il destino di Telecupole (Torino) e A 3 (Venezia) è il più divertente e drammatico di tutti. Dopo le prime tre puntate, a velocità costante, Telecupole viaggiava oltre i 150 mila spettatori, addirittura 216 mila all’esordio il 3 novembre. Poi venerdì 25 novembre accade qualcosa di strano, Auditel fatica a decifrare il pubblico di Servizio Pubblico, la meravigliosa avventura di Telecupole finisce, e torna a 30 mila spettatori. Come se all’improvviso a Torino decidessero di non guardare Santoro. Le rilevazioni Auditel, però, quasi in contemporanea, premiano una piccola televisione di Venezia, chiamata A 3, che sfiora i 50 mila utenti. Teleroma 56, Extra tv e T 9, le tre laziali che trasmettono Servizio Pubblico, si scambiano migliaia di utenti come se fossero vasi comunicanti, ma insieme si attestano sempre intorno ai 200 mila utenti. Ecco, il limite di Auditel, una società di analisi costruita per pesare il pubblico generalista, di televisioni nazionali come Rai e Mediaset, e ultimamente La 7 e Sky. Anche perché nel Consiglio di amministrazione di Auditel, a parte le associazioni dei consumatori e la federazione nazionale degli editori, su 17 componenti, viale Mazzini ne conta 5, il Biscione 4 e Telecom Italia Media (La 7) 1.

IL CAMPIONE Auditel è formato da 5 mila e 500 famiglie, dunque basta che un utente campano preferisca Lira Tv di Salerno a Telecapri di Napoli (che manda in onda Santoro) e il sistema impazzisce. Un sistema che, per stessa ammissione di Auditel, prevede un margine di errore di 1, 5 punti di share per le televisioni nazionali, figuratevi per le locali. Il gruppo di 26 televisioni regionali, prima di ubriacarsi il giovedì sera con Santoro, totalizzava mezzo punto di share, adesso supera il 7 %. Guardate bene i grafici pubblicati qui in particolare la curva del quarto giovedì di Santoro, quello che mandò in crisi l’Auditel provocando un ritardo di 5 ore. Mentre per le prime tre serate le oscillazioni seguono gli interventi in studio o gli stacchi pubblicitari, le vignette di Vauro piuttosto che l’editoriale di Travaglio, la linea di giovedì 25 novembre somiglia a un encefalogramma piatto. Vuol dire che Auditel garantisce sul totale, giura di aver calibrato la cifra complessiva. E difatti, per calmare i centri media che aspettavano ore e ore, venerdì 25 novembre, Auditel denunciò le sue carenze: “Va ribadito che il risultato complessivo della trasmissione non ne risente, ma è l’assegnazione alla singola emittente che potrebbe risultare penalizzata”. E quindi più che una rilevazione sembra una stima.

Uno studio di settore applicato a una trasmissione fuori dai circuiti tradizionali che rischia di togliere telespettatori, e soprattutto pubblicità, ai principali clienti di Auditel. Quelli che siedono nel Consiglio di amministrazione.

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venerdì 2 dicembre 2011

Ristorante Senato, aumentano i prezzi, c’è la fuga dei politici


Negli ultimi tempi con la crisi che galoppa e la popolarità dell’antipolitica era balzato alla notorietà nazionale il menù del ristorante del Senato, che potete vedere nella foto qui sopra, prezzi modici e piatti ottimi. La situazione è drasticamente cambiata perchè i prezzi sono stati rapportati alla media dei ristoranti romani, diciamo che rispetto ai precedenti sono stati triplicati o qualcosa di molto simile. Il risultato di questa operazione? I senatore mangiano quasi tutti altrove e la società di gestione del ristorante ha chiesto la rescissione del contratto.
I senatori, ora, si fermano al ristorante interno solo per consumare i piatti più economici e rapidi, altrimenti escono ed a quanto pare si fiondano tutti o quasi verso il ristorante “Da Fortunato al Pantheon”, a cui tavoli si sono visti nelle ultime settimane, Anna Finocchiaro, Maurizio Gasparri, Francesco Rutelli e il presidente Renato Schifani. Un drastico cambio di tendenza che ha spinto la Gemeaz Cusin a richiedere la rescissione del contratto. I legali della società hanno redatto un documento in quattro pagine dove sono elencate le motivazioni della richiesta. Un documento molto interessante da leggere.
Prima dell’aumento dei prezzi il costo del pranzo era, “Il 13% del prezzo effettivo, anche per i pasti di tipo superiore o pregiato, il cui costo ricadeva, quasi per intero, sull’Amministrazione”. Ora con l’aumento dei prezzi la distribuzione tra tasca dei senatori e amministrazione è praticamente paritaria, quindi senza clienti il ristorante non ha più la convenienza per restare aperto, “Si è verificata una eccezionale diminuzione dell’attività, con una riduzione dell’affluenza di oltre il 50 per cento”. La riduzione dell’afflusso non è stata l’unica pecca, sono cambiate anche le abitudini alimentari, prima dell’aumento dei prezzi venivano ordinati soprattutto piatti pregiati, ora solo piatti economici. La società ha deciso di mettere in cassa integrazione ben 20 dipendenti. Il tutto mentre il Senato si appresta ad assumere altre sette persone, che hanno ottenuto il posto tramite concorso, e la Camera ha deciso di chiudere il suo ristorante.

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Quel piccolo villaggio di irriducibili... islandesi!


 Il fallimento delle banche non è necessariamente la fine del mondo. Dove esiste ancora una sovranità monetaria, le banche private sono una cosa, lo Stato un'altra. Gli unici che hanno avuto il coraggio di dirlo forte sono stati gli islandesi che, alla proposta di ripianare con l'austerity i debiti conseguenti al fallimento della banca Landsbanki, legato ai depositi IceSave, si sono opposti con ben due referendum. Nel primo, i "no" hanno superato addirittura il 93%. Percentuali bulgare. Significa che quando la gente può esprimersi, quel "fate presto!" del Sole24Ore e la sobrietà di quel Mario Monti del Corriere della Sera diventano cortesi ma irremovibili rifiuti. Per questo i banchieri hanno impedito a Papandreou di fare lo stesso referendum in Grecia e si sono affrettati a piazzare al suo posto Lucas Papademos, un collega di Monti. In Europa, come dice Farage, i referendum devono avere solo due risposte: "", e "Sì, ve ne prego!".
 Nei depositi IceSave avevano investito soprattutto olandesi e britannici. Quasi 4 miliardi di euro di perdite. Gli islandesi però si sono rifiutati di pagare, stabilendo il principio che la responsabilità non è dello Stato ma di una banca che, anche se nazionale, è privata esattamente come la Banca d'Italia.
Il Presidente islandese ha dichiarato che "la Costituzione islandese è basata sul principio fondamentale che il popolo è sovrano. E' responsabilità del presidente far sì che la volontà del popolo prevalga". In due parole, ecco spiegato il senso profondo della parola "referendum". Quello che alla Grecia è stato negato e che in Italia non c'è stato neppure bisogno di negare: la volontà popolare è stata di proposito ignorata, tra gli applausi delle scimmie ammaestrate e del popolo servo, sempre in cerca di un nuovo padrone.

 L'Islanda ha 320 mila abitanti. Qualcuno dice che sono troppo pochi e non fanno testo. Ma se riescono, così in pochi, ad opporsi ad interessi così grandi, cosa potrebbero fare sessanta milioni di persone tutte insieme? Immagino un mondo dove le piazze si riempiono e i banchieri, gli speculatori e finanzieri che fanno girare capitali inesistenti sulle roulette russe delle borse - superiori di un fattore 10 a quelli reali - indebitando i popoli, siano costretti a farsi da parte e a lasciare spazio a chi ha una nuova teoria sulla distribuzione della ricchezza, sull'etica del denaro e un rispetto diverso del concetto di sovranità popolare. Non possono essere un manipolo di tecnici pervertiti a imporre a 7 miliardi di persone un modello di società che premia solo se stessi.

 Perché l'Islanda lo ha capito? Perché il popolo di un'isola del nord Europa ha dimostrato di essere coeso e informato? Sarebbe interessante andare a scoprirlo. Certo è che in Islanda ogni 100 famiglie, 87 sono connesse a banda larga. E il Parlamento islandese ha ratificato, nel luglio 2010, una risoluzione che dà all'informazione online ospitata sull'isola lo status di immunità totale: chi querela un blogger non solo perde per legge, ma viene controquerelato dallo Stato automaticamente. La risoluzione si chiama IMMI (Icelandic Modern Media Initiative). Perchè il sale dell'informazione è il dibattito, il confronto tra posizioni diverse, anche estreme. Non la censura e la querela come arma di intimidazione. E tutto questo accadeva mentre noi perdevamo tempo con il DDL Intercettazioni, immersi nel medioevo della comunicazione. Sarà per questo che la nuova Costituzione islandese, appena riscritta, è stata partorita proprio sulla Rete, in maniera condivisa? Qui da noi è fantascienza. Ma certo, noi siamo italiani, siamo un popolo di navigatori, di inventori, di allenatori, mica siamo pescatori di balene, noi.

Ho tradotto per voi un articolo del 28 novembre scorso di Ambrose Evans-Pritchard, international business editor esperto di economia del Daily Telegraph.


ALLA FINE HA VINTO L'ISLANDA

Come una piccola isola è andata controcorrente, smentendo tutte le iatture degli economisti
L'OCSE è andata molto vicino a predire una depressione per l'Europa, a meno che i leader europei non riescano a inventarsi un "prestatore di ultima istanza" molto rapidamente, facendo in qualche modo credere al mondo che il fondo di salvataggio EFSF esista davvero.

Anche se il disastro finale sarà evitato, le previsioni di crescita dell'eurozona sono terribili. Italia, Portogallo e Grecia subiranno tutte una contrazione nel 2012 mentre Spagna, Francia, Olanda e Germania raschieranno il fondo del barile.

La disoccupazione raggiungerà il 18.5% in Grecia, il 22.9% in Spagna, il 14.1% in Irlanda e il 13.8% in Portogallo. Invece l'Islanda si distingue, con una crescita del 2.4% e una disoccupazione al 6,1%. Bene, benissimo!

Ecco i dati OCSE:
Islanda dati OCSE Claudio Messora byoblu Byoblu.com

 Insomma, la politica islandese di drastica svalutazione e il controllo sui capitali non ha dimostrato di essere quel disastro che molti avevano predetto. Il suo rifiuto di accettare quel fardello pesante pieno zeppo delle perdite delle banche private non ha trasformato il paese in un lebbrosario.
 L'Islanda ha tenuto insieme il suo tessuto sociale. Se l'Islanda fosse stata nell'eurozona, sarebbe stata costretta a perseguire le stesse politiche reazionarie di svalutazione interna e di deflazione del debito che oggi sono inflitte alle masse di disoccupati lungo tutto l'arco della depressione.

Fonte Articolo
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